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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 19/09/2016 @ 17:57:05, in L) Zero-carbonio, cliccato 633 volte)
ULTIMO SUMMIT DEI G20 - ADESIONE DI CINA E USA AL PROTOCOLLO DEL COP 21 DI DICEMBRE 2015 A PARIGI
Il 5 settembre scorso si è svolta l'ultima riunione dei "grandi 20" a Hongzhou. I risultati dell'incontro non sono stati in generale brillanti dal punto di vista politico.
Tuttavia vi è stata la dichiarazione ufficiale di Cina e Stati Uniti di confermare l'adesione al Protocollo del 12 dicembre 2015 che si è svolto a Parigi, al quale tutti i più importanti paesi del mondo (in fatto di emissioni d gas serra), cioè i maggiori responsabili dell'aumento delle temperature terrestri e del cambiamento climatico devono aderire.
Benissimo. Però i media non hanno precisato un particolare importantissimo. Affinché le temperature possano aumentare meno di 2°C entro la fine di questo secolo al fine di poter contenere l'aumento del riscaldamento terrestre possibilmente addirittura entro i 1,5°C, è necessario che le adesioni ufficiali (per esempio per Cina e USA sono sufficienti le dichiarazioni formali dei loro Presidenti, mentre in altri Paesi sono necessari l'approvazione dei loro Parlamenti) siano dei 55 Paesi più inquinanti che insieme sono la causa del 95% di quanto appena descritto.
Ebbene con le adesioni di Cina ed USA siamo arrivati solo al 38% rispetto al 95%. Per esempio mancano ancora molti paesi inquinanti come l'India e perfino numerosi Paesi europei, compresa l'Italia.
Secondo gli accordi c'è tempo per aderire fino al 16 aprile 2017, però mi auguro che l'occasione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si aprirà domani 20 settembre a New York dove l'ONU riceve le adesioni ufficiali, sia la volta buona per fare dei buoni passi avanti.
 
Di Gennaro Aprea (del 31/08/2016 @ 11:50:41, in L) Zero-carbonio, cliccato 712 volte)
IL SILENZIO E' D'ORO

Vecchio detto, ormai dimenticato, ma sempre valido. Quando si legge un qualsiasi scritto, articoli, saggi, romanzi, ecc., oppure si ascoltano conversazioni, battute, trasmissioni varie sui media, non è facile trovare qualcosa che combacia perfettamente col proprio pensiero.
Eppure verso la fine di agosto ho letto una lettera al Direttore de l'Espresso che mi ha fatto impressione per l'identicità col mio pensiero. Ho chiesto all'autore, il dottor Mauro Luglio di Pordenone il permesso di pubblicarlo su questo blog ed ho ricevuto il suo assenso, per cui lo ringrazio. Certamente molti lo avranno già letto sul settimanale ma forse ritengo che farà piacere a tutti i miei lettori che non lo conoscono perché molti di essi la pensano come me in generale.
Ecco il testo:
"C'era una volta il silenzio che dava senso alle parole"
"Anche questa estate si caratterizza per una miscela infernale di rumori e schiamazzi che imperversano giorno e notte nelle nostre città dalle più svariate fonti. Non c'è requie. In particolare i rumori rivelano la speciale capacità dell'uomo di ignorare i diritti degli altri e di affermare il proprio primato mediante l'uso degli strumenti sonori proprio come quando si alza la voce nelle conversazioni e nei dibattiti televisivi.
Una barbarie che dimostra la frantumazione del vincolo sociale, l'incapacità d'ascolto del nostro prossimo, una tragica forma d'insopportabilità del silenzio. Sta emergendo una centralità della parola che elimina gli spazi della contemplazione.
Il silenzio è un ornamento della parola, la nutre di significati e sfumature. A teatro, nella musica e nella vita le pause di silenzio danno valore, forza e respiro alle parole e ai suoni.
E invece sembra quasi che si tema il silenzio, considerato rappresentazione del vuoto, negazione della vita. Si evita il silenzio per evitare gli interrogativi fondamentali, si dedica tempo infinito al cellulare per comunicare il nulla, si usa sempre più raramente la parola per un vero dialogo con il prossimo.
Eppure le vacanze estive potrebbero rappresentare una propizia occasione per recuperare i silenzi perduti, per scoprire il piacere della meditazione, per riprendere la nostra identità svanita fra i rumori alienanti della quotidianità. Occasione sprecata."
 
C'è un'altra persona che difende il silenzio. E' l'americano Gordon Hempton che si autodefinisce ecologista acustico.  Ha vinto un Emmy Award per il documentario "Vanishing Dawn Chorus" (l'evanescente coro dell'alba). Ha fatto della difesa del silenzio una missione registrando all'alba durante i suoi viaggi intorno al globo i suoni armonici degli uccelli e della natura in generale. Egli afferma che in tutto il mondo sono rimasti pochi luoghi ove si possono passare 15 minuti tra cinguettii e sussurri del vento senza sentire alcun rumore provocato dalle attività umane.
"Il silenzio da salvare - afferma - non è la semplice assenza di suoni o rumori, ma è il silenzio della natura, che in realtà è una presenza, una voce. Ogni riva, ogni bosco, ogni spiaggia ha un modo distinto in cui una sorgente sonora come un torrente, una cascata o la risacca emettono onde sonore che accarezzano le superfici, passano fra gli ostacoli e riverberano alcune frequenze più di altre...".
Queste note sono tratte da un articolo su La Repubblica del 29 agosto; chi vuole saperne di più cerchi il profilo di Gordon Hempton su Google.
C'è molto da imparare per la difesa del silenzio.
 
 
 
Di Gennaro Aprea (del 02/06/2016 @ 17:49:45, in L) Zero-carbonio, cliccato 630 volte)
L'articolo che segue è apparso sulla Newsletter QUALENENERGIA (newsletter@qualenergia.it) ed è stato scritto da Gianni Silvestrini, suo fondatore, Presidente Green Building Council Italia e coordinamento FREE, Direttore scientifico Kyoto Club e Quale Energia, saggista ("2° C" - 2a edizione).
L'articolo mette esattamente a fuoco la situazione  a livello globale e le azioni che il mondo deve realizzare concretamente nell'interesse del Pianeta, cioè noi umani e la natura in cui viviamo.
Desidero ringraziare il Professore Ing. Gianni Silvestrini per avermi permesso di inserire il suo articolo su questo blog che sarà molto utile ai miei lettori per la comprensione dell'evolversi della domanda e dei consumi energetici a breve/medio termine.
Ci sono tanti segnali che indicano una forte diminuzione dei consumi mondiali di carbone e petrolio, e altri che spingono verso rinnovabili, efficienza e mobilità elettrica. L'Europa deve ratificare subito l'accordo di Parigi, ma sembra aver dimenticato di essere stata la guida nelle politiche sul clima. E l'Italia deve riprendere la sua corsa. L'editoriale di Gianni Silvestrini.
Dopo la Cop21 sono molti i segnali che indicano come sia in atto un’accelerazione della transizione energetica.  
Il primo elemento, riguarda la caduta di “King Coal”, un fatto considerato impensabile fino a poco tempo fa, quando tassi annuali di crescita del 4% avevano portato il carbone a coprire il 29% dei consumi energetici e il 46% delle emissioni mondiali di CO2 dei fossili. Ma lo scenario è rapidamente cambiato. Negli Stati Uniti, i consumi di carbone sono calati del 13% durante gli ultimi due anni e per il 2016 è prevista un’ulteriore riduzione del 6%; crollo che ha comportato il fallimento delle due più grandi società di estrazione di questo combustibile, la Peabody Energy e la Arch Coal. 
E, sempre nel 2016, il gas supererà il carbone nella generazione elettrica. In Cina, il calo dell’ultimo biennio è stato del 6% e la riduzione dovrebbe proseguire anche quest’anno, con un -2% (nel primo trimestre -3,7%). Pechino ha deciso di bloccare la costruzione di 250 centrali a carbone per una potenza di 170 GW. Una scelta significativa, accompagnata dall’annuncio della chiusura di un migliaio di miniere e della sospensione dell’avvio di nuove estrazioni.
Potremmo continuare nella panoramica mondiale con la decisione del Regno Unito di eliminare la generazione a carbone entro il 2025 e con il piano in elaborazione da parte della Germania per uscire, dopo il nucleare, anche dai combustibili solidi. Insomma, per il maggiore responsabile del riscaldamento antropico del pianeta è iniziata una crisi profonda e irreversibile.
Altre trasformazioni radicali sono in vista nel settore dei trasporti; ancora una volta risultano decisive le risoluzioni di alcuni governi. Le scadenze proposte recentemente da Norvegia e Olanda per eliminare la vendita di veicoli a benzina o gasolio (2025), ma soprattutto quella del 2030 in discussione in India, sono messaggi forti in grado di accelerare le scelte industriali sulla mobilità elettrica e innescare un effetto a valanga, come dimostra la successiva presa di posizione assunta anche del governo austriaco.
Sarà comunque Pechino che, dopo aver guidato nell’ultimo quinquennio la corsa mondiale delle rinnovabili, piloterà la trasformazione del mercato dell’auto. Si stimano 600.000 nuovi veicoli elettrici nel 2016, un valore più che raddoppiato rispetto alle vendite cinesi dello scorso anno.
Le dinamiche che si sono innescate faranno saltare tutte le previsioni sui consumi di greggio delle compagnie petrolifere. La Exxon, ad esempio, attribuisce alla mobilità elettrica solo il 4% del mercato dell’auto nel 2040. Secondo Bloomberg, invece, la diffusione dei veicoli elettrici comporterebbe già nella prima parte del prossimo decennio una riduzione della domanda di petrolio di 2 milioni di barili giorno (Mbg). Estendendo l’analisi al 2030-2040, il calo dei consumi di greggio diventerà devastante per le compagnie petrolifere.
Un terzo settore, che segnala la rapidità dei cambiamenti, è quello delle rinnovabili che nell’ultimo quinquennio ha visto investimenti nella generazione elettrica doppi rispetto a quelli destinati alle centrali termoelettriche. Un trend che si accentuerà: per il 2020 la potenza fotovoltaica cumulativa aumenterà del 200% arrivando a 450 GW, mentre l’eolico è proiettato verso i 750 GW.
Naturalmente, non possiamo dimenticare l’impennata avvenuta nel campo dell’efficienza energetica. Pensiamo per esempio al successo del programma indiano Domestic Efficient Lighting  Programme (Delp) che in soli 20 mesi ha fatto calare i prezzi dei Led dell’83% e, di conseguenza, ridurre di 2,3 GW la potenza di punta richiesta sulla rete. Visti i risultati ottenuti con la vendita di 90 milioni di lampade, ad aprile, il governo ha deciso di alzare il tiro e di diffondere altri 770 milioni di Led.
Per finire, va sottolineato un cambiamento che non riguarda una tecnologia o un combustibile, ma alcuni importanti settori del mondo finanziario; parliamo di istituzioni, fondi e istituti bancari, che stanno trasferendo colossali risorse dal mondo dei combustibili fossili e quello delle tecnologie verdi. Così, la Banca Mondiale, in passato accusata di finanziare progetti ambientalmente criticabili, ha deciso di dedicare il 28% dei propri fondi a interventi climatici. Ancora più drastica la posizione della banca statunitense JP Morgan Chase &Co, che non intende più finanziare miniere o centrali a carbone nei paesi Ocse, progetti che vengono accomunati al lavoro minorile tra le “transazioni proibite”.
La firma dell’accordo di Parigi: Europa a basso profilo
Lo scorso 22 aprile, a New York, ben 175 paesi hanno firmato l’accordo sul clima di Parigi. Al fine di garantire la sua entrata in vigore, dovrà seguire l’approvazione formale da parte di almeno 55 paesi responsabili di una quota superiore al 55% delle emissioni mondiali. È probabile che l’iter sarà molto più rapido rispetto ai sette anni che sono stati necessari per l’avvio del Protocollo di Kyoto. L’entrata in vigore dell’accordo di Parigi potrebbe infatti avvenire tra il 2016 e il 2017.
Considerato che Cina, USA e Canada, le cui emissioni complessivamente raggiungono il 40% del totale, si sono già impegnati ad effettuare rapidamente questo passaggio, mancherebbe un gruppo di paesi responsabili del 15% delle emissioni.
Per quanto possa sembrare paradossale, è difficile che questo ruolo venga svolto dall’Europa. Purtroppo la UE, già guida delle politiche del clima, è divisa; occorre la ratifica da parte dei Parlamenti di tutti i 28 Stati membri, con i tempi di attuazione che saranno lunghi. Non stupisce la resistenza della Commissione all’innalzamento degli obiettivi al 2030, che si renderebbe comunque necessario, dopo il successo dell’accordo di Parigi. La riduzione delle emissioni dei gas climalteranti, che dal 40% dovrebbe passare almeno al 45%, viene rimandata al 2023, malgrado diversi paesi (ma non l’Italia), stiano spingendo per una rapida revisione.
Se poi si volesse veramente evitare di superare l’incremento di 1,5 °C, i tagli dovrebbero essere superiori, attorno al 60%. Le incertezze europee sono, peraltro, sempre meno comprensibili alla luce del crescente allarme climatico, visti i continui record delle temperature. Il primo trimestre 2016 ha segnato un aumento di 1,5 °C rispetto ai valori medi 1881-1910 e di 1,7 °C rispetto ai valori preindustriali.
Far ripartire la corsa dell’Italia
Malgrado le emergenze ambientali e la rapidità con cui sta cambiando il mondo, ci sono però paesi che non stanno cogliendo l’onda. L’Italia, dopo aver seguito un percorso quanto mai originale e anomalo, si colloca tra questi. La sua storia ricorda quella di un atleta drogato che, dopo una partenza fulminante, crolla mentre gli altri corrono verso il traguardo. È opportuno chiarire il contesto che ha portato all’euforia da doping.
Un esempio viene dal decreto “salva Alcoa”, varato dal governo Berlusconi a seguito delle pressioni di potenti lobby. Mentre sull’editoriale di QualEnergia (n. 1 del 2011) si leggeva: «La bolla fotovoltaica è scoppiata con numeri impensabili. La responsabilità principale viene dall’emendamento parlamentare, passato con il consenso del Governo, che ha prolungato la validità degli incentivi 2010 agli impianti installati entro il 31 dicembre». Gianfranco Miccichè, allora leader di Forza del Sud, minacciava di far cadere il governo proprio per sostenere gli alti incentivi al solare. Questo per chiarire le responsabilità di chi ancora oggi se la prende con il comparto delle rinnovabili e, in particolare, con il fotovoltaico.
Le politiche degli ultimi cinque anni si sono basate sulla doppia convinzione che “i comparti delle rinnovabili e dell’efficienza hanno già avuto troppo” e che “visti i risultati acquisiti ora possiamo stare fermi”. In questo modo si sono sottovalutati i notevoli apporti positivi derivati dalla corsa green e si è bloccata l’espansione necessaria per raggiungere gli obiettivi del 2030.
Nella plausibile ipotesi che all’Italia venga richiesto un impegno di riduzione analogo alla media europea, il tasso annuo di riduzione delle emissioni climalteranti nel periodo 2016-2030 dovrà essere più del doppio di quello registrato tra il 1990 e il 2015, e del 50% più alto di quello calcolato per l’intervallo 2004-2015 depurato dall’effetto della crisi: nel periodo cioè della forte crescita delle rinnovabili. Questo, sempre che gli obiettivi al 2030 non vengano innalzati. Sono numeri che chiariscono bene l’accelerazione delle energie pulite, necessaria nei prossimi anni.
Il premier ha affermato che intende lavorare perché le fonti rinnovabili, in questa legislatura, riescano a fornire nel 2018 il 50% della generazione elettrica. A noi basterebbe che venissero adottate misure in grado di far raggiungere questo risultato nel 2025 e talloneremo il governo affinché vengano rapidamente varati tutti i provvedimenti necessari.
Anticipiamo la pubblicazione dell'editoriale di Gianni Silvestrini  (nella sua versione quasi completa) che verrà pubblicato sul prossimo numero (n.2/2016) della rivista bimestrale Qualenergia, in uscita la prossima settimana, con il titolo "Clima d'urgenza".
29 aprile 2016
 
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