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IMPRONTA AMBIENTALE DEI PRODOTTI
Di Gennaro Aprea (del 28/11/2012 @ 18:36:00, in L) Zero-carbonio, cliccato 956 volte)
SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE DEI PRODOTTI :
DALLE PAROLE AI FATTI

 
Questo è il titolo accattivante di un convegno organizzato dalla Camera di Commercio di Milano – Dipartimento Ambiente e Territorio che si è svolto il 15 novembre scorso. Non era la prima volta che assistevo a un evento in cui si discuteva di questo importante argomento che sta giustamente prendendo piede nel settore produttivo; il precedente evento era stato organizzato da Legambiente in collaborazione con l’Università Bocconi e la partecipazione del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini: in quel caso il titolo è stato: “L’impronta ambientale dei prodotti”. Gli anglosassoni lo chiamano “green marketing”
 
Ma di cosa si parla? Innanzi tutto è bene precisare che l’impronta ambientale dei prodotti è l’analisi di tutto ciò che le imprese utilizzano per la fabbricazione di essi, cioè i fattori della produzione necessari per produrre un qualsiasi bene, cioè fonti di energia nel senso più ampio del termine, acqua, suolo occupato dove il bene viene fabbricato, ecc.; e non solo ciò che viene impiegato nella produzione del bene stesso, ma anche nei più (o meno) necessari imballaggi.
L’impronta ambientale deve essere quindi stabilita esaminando l’intero processo produttivo per far sì che questo processo sia ottimizzato nel tempo minimizzando l’impiego dei vari fattori della produzione.
Le imprese che adottano questo sistema possono quindi migliorare l’impronta ambientale dei loro prodotti diminuendo l’uso delle fonti di energia, ecc.
Il risultato positivo aggiuntivo è che i loro costi possono diminuire in favore della redditività dell’impresa in un processo pluriennale di ottimizzazione della produzione, che può anche incidere sul prezzo dei vendita per migliorarne la competitività.
Contemporaneamente le imprese possono comunicare al mercato, cioè ai consumatori l’adozione di questo processo virtuoso cioè il valore della sostenibilità del bene (così come è stato già fatto nel campo dell’etichettatura, in quello degli ingredienti per i prodotti alimentari, ecc.) con il risultato di ottenere la preferenza dei clienti rispetto alla concorrenza che non adotta questo metodo. Da qui la definizione di “green marketing”.
Il convegno della CCIAA di Milano era quindi rivolto alle imprese (dichiaratamente le Piccole e Medie – PMI) per illustrare quanto la comunità nazionale ed internazionale ha fatto finora e sta ancora perfezionando per stabilire le regole della sostenibilità dei prodotti. In particolare sono stati affrontati i seguenti argomenti:
-          Environmental Product Declarement (EPD) cioè la “dichiarazione ambientale di prodotto” ovvero le regole per raggiungere la certificazione ambientale del prodotto
-          La quantità di combustibili e carburanti (per il trasporto) necessari alla produzione  e al trasporto delle materie prime fino al prodotto finito e la sua immissione sul mercato
-          Carbon footprint cioè l’impronta dei gas serra (CO2 ed affini)sul prodotto ed i relativi tagli che dovranno essere fra il 25 ed il 40% entro il 2020, e almeno l’80% entro il 2050, tutti derivanti dalla combustione dei carburanti e combustibili
-          Water footprint, cioè l’impronta idrica ovvero la quantità d’acqua usata per produrre qualsiasi cosa, dal prodotti alimentari provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, carta, abbigliamento, ecc. per l’intera filiera dal produttore al consumatore (acqua per cucinare)
-          In definitiva l’Environmental footprint, cioè l’impronta ambientale in generale.
Si è parlato naturalmente dei criteri già definiti o invia di definizione necessari alla certificazione e qualificazione di questa Impronta ambientale dei prodotti che servirà alle imprese per essere classificate ammesse a dichiarare la sostenibilità dei loro prodotti.
I relatori, tutti espertissimi, sono stati 11 ed hanno esposto le loro conoscenze in materia dalle 9,30 (più il quarto d’ora accademico) alle 13,10, che poi sono diventate le 14, con un leggero “light lunch “ al termine del convegno.
 
Dunque tutto bene? Certamente, salvo:
-          la sala del convegno era piena al 60% circa (all’inizio) e alla fine era rimasto solo il 50% scarso; fra i quali vi era una minoranza di imprenditori
-          perché? evidentemente la CCIAA non era riuscita a convincerli a partecipare ....ma si sa: in questo periodo di crisi difficilmente trovano il tempo di informarsi e di acculturarsi, dimostrando così la loro limitatezza professionale
-          gli ottimi relatori parlavano da addetti ai lavori per gli addetti ai lavori; molto spesso a velocità impressionante e sfoderando una serie di sigle e numeri con tabelle illeggibili e spesso in inglese, così che i rappresentanti degli imprenditori presenti certamente non erano in grado  di seguire agevolmente il filo dei discorsi.
-          non so quanti giornalisti fossero stati invitati e presenti; certamente non credo che anche loro siano stati in grado di seguire facilmente il contenuto delle esposizioni per essere in grado di riferire agli interessati; i quali non sono solo gli imprenditori, ma anche i consumatori.
-          infatti non mi risulta che in platea vi fossero dei “cittadini-consumatori” i quali in definitiva – ripeto - sono i destinatari finali di questo argomento così come è già in parte avvenuto per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti che essi acquistano.
-          In definitiva quegli imprenditori che sono rimasti hanno capito che per ottenere la certificazione (che deve essere ripetuta negli anni per dimostrare il continuo miglioramento dell’impronta ecologica dei loro prodotti), sarà necessario rivolgersi “agli addetti ai lavori” che daranno consulenza, altrimenti si perderanno nei meandri delle centinaia di sigle contenute nei regolamenti nazionali, europei e internazionali, cioè ISO, EN, UNI, seguiti da altrettanti codici numerici di 5 cifre, ed anche SGE (Sistema di Gestione dell’Energia), PCF (Product Environmental Footprint), SGA (Sistema di Gestione Ambientale), LCA (Life Cycle Assessment)....e vi faccio grazia di interrompere la lista.
In conclusione il convegno si sarebbe dovuto svolgere per l’intera giornata perché tutti i relatori-consulenti correvano e cambiavano le “slides” senza dare il tempo necessario a leggerle mentre parlavano a velocità da Formula 1. Spesso anch’io ho fatto fatica a seguirli.
Cose importanti come queste hanno bisogno di essere comunicate al grande pubblico con parole facili e comprensibili ai più; ho controllato per un paio di giorni successivi su un paio di quotidiani e sui telegiornali: silenzio assoluto.
W le “torri d’avorio !
In definitiva la CCIAA ha offerto un servizio positivo che però non ha colto nel segno come avrebbe potuto.
Si dovrà ancora parlare molto dell’impronta ambientale dei prodotti perché l’adozione di questa strategia di marketing nell’interesse di tutti, imprenditori e consumatori, potrà fare solo del bene alle imprese che la adotteranno perché costringeranno la concorrenza dei molti produttori senza scrupoli i quali si disinteressano di sostenibilità ad adattarsi con un normale aumento dei costi e quindi dei prezzi ora competitivi da loro praticati. Se questi ultimi non lo faranno saranno battuti perché i consumatori sempre più informati non acquisteranno i loro prodotti che inevitabilmente resteranno nei loro depositi.