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LO SCALONE
Di Gennaro Aprea (del 02/07/2007 @ 11:49:06, in A) Aziende, innovazione, produttivitą, costi, ecc., cliccato 929 volte)
QUESTO BENEDETTO SCALONE.....E GLI "OVER 50"
                                      
 
 
Si fa’ un gran parlare del problema dell’età di pensionamento, dell’allungamento della vita lavorativa, del fatto che le finanze dello Stato non permettono di dare ai pensionati la retribuzione per molti anni (25-30 rispetto ai 10-15 di venti anni fa). Tutti i giorni – o quasi – lo vediamo/sentiamo in televisione, alla radio, sulla stampa quotidiana e periodica. E siccome la maggioranza non si mette d’accordo le decisioni definitive sono continuamente rinviate. Sicuramente si arriverà al solito compromesso che non soddisferà nessuno e scontenterà tutti.
Ma vediamo un po’ come è la situazione alla luce della legge attuale che riguarda il passaggio dalla pensione in modalità retributiva (una percentuale della media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni – prima era degli ultimi 5) a quella contributiva che prevede la pensione calcolata su quanto i lavoratori/datori di lavoro hanno versato all’INPS durante il periodo lavorativo.
La legge dice che, a partire dal 1996, tutti quei lavoratori che non avevano ancora lavorato (e versato contributi pensionistici) per 19 anni o meno, alla fine del periodo lavorativo otterranno la pensione sulla base dei contributi versati. Ciò significa che la loro pensione sarà nettamente inferiore a quella percepita su base retributiva.
La conferma di questo disagio è che, per migliorare parzialmente questa diminuzione di retribuzione pensionistica, è stato creato il cosiddetto “Secondo Pilastro”, cioè il versamento del TFR, ovvero della cosiddetta liquidazione, in fondi che arrotonderanno la pensione INPS. Ma basteranno i due pilastri ai giovani che hanno iniziato a lavorare prima e dopo il 1996 per avere una pensione decente? Quelli che guadagnano molto potranno usufruire del Terzo Pilastro, cioè di un’assicurazione pensionistica aggiuntiva che costa notevolmente, ma saranno in pochi a poterlo fare.
Per spiegarmi meglio facciamo un esempio ipotetico ma pratico:
-         lavoratore nato nel 1961
-         inizio lavoro 1981 con retribuzione iniziale mensile lorda Lire 1.000.000 pari a € 516, cioè € 7.224 annuali
-         contribuzione pensionistica iniziale lavoratore/datore di lavoro 39% pari a € 2.817 annuale
-         al 1996 ha 15 anni di contributi dunque la sua pensione gli sarà data su base contributiva
-         supponendo che l’età pensionistica resti a 57 anni, la pensione di anzianità sarà raggiunta nel 2018
-         la sua retribuzione è nel frattempo aumentata (ha fatto carriera e guadagna oggi €35.000 e che nel 2018 sarà ancora migliorata fino a € 43.000
-         possiamo supporre che la media delle contribuzioni sia, nell’arco del periodo lavorativo sulla base di una retribuzione media di € 25.000, di € 9,750, cioè il 39%. A questa cifra occorre aggiungere gli interessi maturati pari a circa 6.500 €, che dà un totale di € 16.250
Non so se la sua pensione. INPS sarà pari alla contribuzione o una percentuale di essa, Se lo fosse al 100%, come si troverebbe il lavoratore che va in pensione e che ha un tenore di vita rapportato a € 43.000 annui, con questa reddito di € 16.250? (non ci dimentichiamo che a una certa età cominciano i piccoli-medi problemi di salute).
Il suo interesse sarà dunque quello di continuare a lavorare e versare i contributi più alti in modo da aumentare la media sulla base idi una retribuzione che forse potrà ancora aumentare rispetto a quella dei suoi 57 anni. Vi sarà il “secondo pilastro” che lo aiuterà ma potrà essere un ben piccolo aiuto.
Allora che succederà? che tutti i lavoratori tenderanno a rimandare spontaneamente l’età della pensione al più tardi possibile (anche perché a 57 anni si sentono - e si sentiranno - ancora nel pieno delle forze).
E allora non ci sarà posto per i giovani?
Sulla base di uno studio pilota su un campione significativo di grandi imprese realizzato da un Gruppo di Lavoro dell’Associazione Italiana del Change Management (www.assochange.it) di cui ho fatto parte, è emerso chiaramente che anche le aziende le quali finora hanno teso a disfarsi degli “over 50”, stanno cambiando strategia per una serie di ragioni fra le quali le più significative sono:
-         l’interesse a mantenere collaboratori esperti; e molti degli anziani lo sono
-         i giovani che si affacciano al lavoro sono pochi perché i genitori non gli hanno dato molti fratelli e sorelle
-         sono pochi quelli che hanno la cultura necessaria per lavorare in questo mercato globalizzato ove la tecnologia fa’ passi da gigante di giorno in giorno
-         per non parlare di quelli, sempre più numerosi, che si affacciano sul mercato del lavoro ad un’età sempre crescente. 
Rimarrà per lungo tempo, ma speriamo che divenga più breve, il problema della concorrenza fra giovani con poca cultura e gli extracomunitari che gli fanno concorrenza.
 
Conclusione di questa mia breve riflessione è che i problemi che riguardano l’aumento dell’età pensionabile diverranno via via meno impellenti. Ma si sa: numerosi nostri politici devono dimostrare ora ai lavoratori vicini alla pensione che fanno i loro interessi senza pensare molto ai giovani e soprattutto alla situazione generale del Paese!
Io ritengo che alla luce di questi sviluppi, dovrebbero riconoscere che l’aumento dell’età pensionabile sia una necessità inderogabile fin da subito, naturalmente con eccezioni ragionevoli (es. lavori defatiganti, ecc.).