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70 ANNI DALLA LIBERAZIONE
Di Gennaro Aprea (del 27/04/2015 @ 17:49:47, in C) Commenti e varie, cliccato 546 volte)
70 ANNI DALLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO
Sabato mattina sono andato alla manifestazione del 25 aprile che si è svolta qui a Rodano dove abito da molti anni: bei canti di un coro per l'occasione, discorsi di commemorazione dei caduti delle 2 guerre mondiali e della Resistenza 1943-45. Fra di essi uno ottimo del Sindaco che nel salutarlo al termine; mi ha fatto notare con piacere che quest'anno si è cantato anche "Bella Ciao" dopo molti anni di silenzio per il 25 aprile.
Nel pomeriggio con un paio di amici sono stato anche al corteo che si è svolto a Milano da Porta Venezia al Duomo; decine di migliaia di persone nel corteo ed altre migliaia che assistevano ai lati delle strade. Moltissimi i gruppi con bandiere e striscioni di tutti i tipi: compresi di palestinesi, tutti i partiti salvo quelli di destra e Lega Nord, associazioni, Emergency, vari protestatari. Ma i gruppi più numerosi sono stati quelli dell'ANPI che erano venuti da molte città della Lombardia ed altre Regioni con le sezioni dei Comuni che esibivano la medaglia d'oro sulla loro bandiera della resistenza. Per la prima volta rispetto agli anni passati c'era anche un folto gruppo di partigiani della Brigata Ebrea che poi sono stati contestati e insultati dai palestinesi. Ci dobbiamo meravigliare?
Mentre camminavo seguendo il corteo, mi è venuto in mente il periodo che ho vissuto a Roma dal 1943 al 1944-45.
Allora avevo 12 anni, bassino per la mia età, ma ero molto fiero di essere "balilla moschettiere", dopo essere passato dai "figli della lupa" e "balilla semplice"; ero un piccolo fascista plagiato dalla scuola e dalla propaganda e adoravo il nostro Duce. Mio padre militare "in servizio permanente effettivo", era indifferente al fascismo (non l'ho mai visto fare il saluto romano, ma solo quello militare), mia madre invece adorava Mussolini, come molte giovani e meno giovani donne di quel tempo.
Ricordo benissimo che il 25 luglio ascoltai il radiogiornale che comunicò che il "Primo Ministro, Segretario di Stato, Cavaliere Benito Mussolini ha rassegnato le dimissioni nelle mani del Re", il quale aveva nominato "Primo Ministro, Segretario di Stato il Maresciallo d'Italia Cavaliere Pietro Badoglio". Mio padre non fece commenti ma, per quanto mi riguarda, crollò il mondo intorno a me perché consideravo il Duce l'eterno perfetto Padre della Patria. Per alcuni giorni rimasi incredulo e chiesi spiegazioni a mio padre che si limitò a spiegarmi le ragioni della procedura. Non aderì alla Repubblica di Salò e poco dopo l'8 settembre decise che avrebbe fatto solo l'ingegnere perché era schifato del comportamento della casa reale e naturalmente del fascismo; e così è stato fino alla sua morte.
Dopo pochi giorni la radio e i giornali raccontarono che Mussolini era stato imprigionato, le sue malefatte, i molti sbagli fra i quali quelli di essersi alleato con Hitler e di essere entrato in guerra senza un esercito adeguato. Anche mia madre era molto sconcertata ed incredula. Nelle strade si distruggevano tutti i numerosi busti di Mussolini ed i fasci che affiancavano - al posto delle abituali colonnine - gli ingressi degli edifici pubblici. Ovviamente le immagini del Duce erano sparite all'interno delle scuole e negli uffici pubblici. Da tempo gli italiani erano stufi della guerra e delle disfatte subite dagli eserciti dell'Asse su tutti i fronti per non dire delle migliaia di morti e feriti e, dopo il 25 luglio lo dichiaravano ormai apertamente: Tuttavia il Maresciallo Badoglio comunicò "La guerra continua" e fu subito criticato. Nacquero anche e si diffusero una serie di barzellette che tutti si scambiavano con allegria e che rendevano ridicoli Mussolini, la Petacci e i gerarchi di una certa importanza. Sembrava che nessun italiano fosse stato mai fascista.
I miei dubbi divennero rapidamente certezza con la convinzione che i fascisti fossero stati tutti assassini e ladri; così iniziai ad avere un sentimento di repulsone fino all'odio per tutto ciò che era stato la mia "fede politica" di bambino.
Finché arrivò l'8 settembre con la comunicazione dell'armistizio e il giorno successivo la fuga del Re, famiglia, Badoglio, e la Corte reale, da Roma a Pescara e via nave a Brindisi. Tutti conoscono più o meno questa storia ma l'ho ripetuta brevemente perché questi avvenimenti toccarono da vicino anche noi ragazzi che ascoltavamo le notizie di quei giorni con molta attenzione e ne discutevano fuori del Caffè e Tabacchi Ballerini di Piazza Strozzi, nostro posto di riunione. Cominciavamo ad interessarci di politica esprimendo giudizi senza il timore di essere rimproverati o malvisti. Ma la libertà durò poco.
Prima di partire il re non diede alcuna disposizione ai ministri e ai comandi militari. Alle porte di Roma si registrarono i primi scontri tra italiani e tedeschi; i soldati italiani, rimasti senza superiori e senza ordini, furono facilmente sopraffatti dal più numeroso esercito tedesco a Porta San Paolo che occupò rapidamente Roma e l'Italia per rappresaglia del tradimento dello Stato alleato. Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da paracadutisti tedeschi e creò la Repubblica di Salò.
Quel giorno noi ragazzini di Piazza Strozzi (vicino a Piazzale Clodio), grazie all'iniziativa di uno più grande di noi (15 anni, ma alto già un metro e ottanta) appassionatissimo e conoscitore di armi, ci riunimmo e ci avviammo per un'incursione nella caserma più vicina, quella della fascista PAI (Polizia Africa Italiana) a via Baiamonti, che trovammo completamente vuota di persone ma piena di armi e munizioni sparse ovunque. Il nostro capo Carlo si impossessò di una "Maschinepistole", la piccola mitraglietta tedesca da 9 mm, e ci disse di prendere tutto il possibile, armi e munizioni; molti di noi lo seguirono, ma poi alcuni rinunciarono per motivi di volume eccessivo o per paura, limitandosi ad impossessarsi di pistole automatiche e di relative munizioni che mettemmo nella camicia infilata nei pantaloni; riempimmo anche di munizioni di mitragliatrice antiaerea da 20 mm. un paio di sacchi di pesante stoffa. La prima cosa che facemmo immediatamente fu di andare nel piccolo bosco della collina di Monte Mario sotto l'osservatorio astronomico, verso Villa Madama, allora chiusa e abbandonata. Non so se ve ne siano ancora, ma c'erano nel bosco alcune piccole grotte di tufo con l'entrata non più alta di 50-70 cm con il pavimento di sabbia di tufo che scavammo per nascondere le armi e le munizioni, non prima di averle coperte con della carta oleata che Carlo aveva raccolto nella caserma. Molti di noi fra cui io stesso ci portammo a casa la pistola con il caricatore pieno (Beretta 7,65); la nascosi in uno dei cassetti della scrivania dietro tutto l'armamentario relativo al disegno; e le munizioni dietro i libri di scuola e i vocabolari che era compito mio spolverare come d'altronde tutta la mia camera. Non so come nessuno in casa si accorse di niente per tutto l'inverno e la primavera successiva.
Nel frattempo Roma si riempì di soldati tedeschi e di un piccolo esercito fascista (repubblichini) al loro servizio. Herbert Kappler, comandante della Gestapo, diventò il "padrone" di Roma; è lui l'autore dei vari editti che proibirono di usare la bicicletta dopo un attentato eseguito dai partigiani (GAP) a militari tedeschi e fascisti e di detenere armi o munizioni in casa o addosso, pena la fucilazione immediata; è lui che stabilì il coprifuoco dalle 17 alle 7 del giorno dopo ed altri numerosi divieti.
Noi invece, avevamo pensato tutti insieme a come utilizzare i nostri armamenti. Le riunioni della squadra - eravamo una dozzina - si svolgevano sempre nel bosco di Villa Madama con "sentinelle" disposte adeguatamente per non essere spiati e ascoltati da possibili intrusi; ogni tanto ci esercitavamo - con molta paura nonostante gli insegna menti di Carlo - nel tiro colla pistola ad un bersaglio da noi preparato. Tutto ciò si svolgeva nei pomeriggi dopo la scuola (mamma, vado a studiare da.....) fino all'ora del coprifuoco perché la luce cominciava a diminuire presto con l'approssimarsi dell'autunno.Le decisioni furono le seguenti:
- le armi serviranno solo per difesa solo se, incontrando i "nemici", avremmo dovuto rispondere al loro fuoco per evitare la certezza di essere sopraffatti da "forze ingenti".....comunque cercando di evitare lo scontro con i tedeschi, molto più efficienti dei fascistelli babbei.
- i proiettili di mitragliatrice da 20 mm serviranno per costruirci delle bombe artigianali con lo scopo di danneggiare i veicoli nemici, o al limite come bombe a mano.
E infatti sfilammo i proiettili dai bossoli ogni volta che decidevamo un attacco, svuotando il bossolo della polvere da sparo che si presentava come corte fettuccine color marrone; poi, riempivamo un barattolo vuoto di pelati da mezzo chilo, quindi abbastanza grande, di polvere da sparo, abbondanti vecchi chiodi, una lunga miccia fatta di cordicelle di spago intrise nella paraffina di candele, molto disponibili perché usate per le frequenti interruzioni di corrente elettrica, il tutto pressato da un coperchio fatto di un pezzo di lamiera di latta chiuso con filo di ferro sotto il quale inserivamo abbondante canapa (quella usata dagli idraulici) pressandola fino all'inverosimile:avevamo così costruito una bombetta (semi-innocua).
In quell'autunno-inverno 1943-44 abitavano e si erano istallate nelle strade vicine alcune fanciulle che chiameremmo oggi "squillo" le quali ricevevano militari tedeschi e fascisti di un certo grado grazie ai quali queste ragazze si arricchivano in una zona di persone, per lo più del ceto impiegatizio, che si erano impoverite per le limitate disponibilità di soldi necessari agli acquisti, soprattutto alimentari che erano razionati e distribuiti con le tessere annonarie. Le avevamo individuate perché le vedevamo passare sempre davanti o dentro il Caffè Ballerini vestite con abiti eleganti e costosi e difese dal freddo da pellicce; sapevamo esattamente dove abitavano; alcune volte lancevamo loro degli insulti in pesante dialetto romanesco. Di solito i militari arrivavano dopo la fine dei turni nel tardo pomeriggio e se ne andavano la sera verso le nove, spesso anche ubriachi; durante le loro visite lasciavano le loro caratteristiche camionette Kuebelwagen Tip 82 in strada: queste furono gli oggetti dei nostri attacchi di "guastatori". Ci mettevamo prima d'accordo per telefono in 6 o 7; poi la "squadra" usciva al completo appena era iniziato il coprifuoco e la luce diurna era ormai sparita. Due di noi si occupavano di mettere quattro bombette per poi accendere le micce sotto le ruote della camionetta mentre gli altri quattro o cinque facevano le sentinelle emettendo vari tipi di fischio concordati per avvisare presenze di passanti, pericoli e ordini di scappare in caso di serio rischio: Se ben ricordo, il primo "attentato", ben coordinato dal nostro capo Carlo, fu ai primi di dicembre e andò benissimo (io fui solo una delle sentinelle). Le strade erano buie perché i lampioni erano volutamente spenti o semi-coperti così come i fari dei veicoli e le finestre con le luci spente e ermeticamente chiuse dalle persiane o tapparelle. Allo scoppio delle bombette si aprirono alcune persiane e finestre ed anche i militari si affacciarono, più interessati dei semplici cittadini perché ormai abituati ai frequenti colpi di pistola o una scarica di fucile mitragliatore dopo l'inizio del coprifuoco; vedemmo questi militari coperti appena da una coperta strillando perché una delle gomme bruciacchiava. Capirono cosa era successo ma non poterono fare niente perché ci eravamo acquattati in angoli bui. Subito dopo scappammo verso i palazzi vicini a quelli dove abitavamo. La ragione di questa precisazione è dovuta al fatto che i palazzi affiancati della piazza e delle strade vicine componevano degli isolati che all'interno avevano grandi cortili o giardini accessibili al piano terreno dall'interno di ciascun palazzo. Noi entravamo in uno di questi (ci eravamo procurati tutte le chiavi necessarie), poi nel cortile e rientravamo in quello dove abitavamo in maniera da evitare di essere trovati facilmente da eventuali inseguitori sui quali avevamo comunque un grande vantaggio di tempo,.
Durante quell'inverno riuscimmo a portare a termine 7 attentati (un paio di volte anch'io accesi le micce). Uno di noi perse quasi 3 dita di una mano per uno scoppio anticipato e fu curato dal fratello maggiore di uno della squadra, studente di medicina al 5° anno; Carlo gli affibbio una medaglia di chissà quale origine in una cerimonia di festeggiamento per il buon esito dell'operazione. Un'altra volta un altro di noi stava per essere raggiunto dai fascisti che entrarono nella scala dove abitava e sentirono la chiusura della porta ai piani superiori; anche lui capì e si appese fuori della finestra attaccato alla tapparella staccata: era più buio del solito perché pioveva e quando i fascisti che perquisirono tutto il palazzo entrarono nell'appartamento, la vecchia zia con la quale abitava che non l'aveva sentito rientrare, capì la situazione e, nonostante la paura, disse che suo nipote era andato 2 giorni prima a Frascati dove abitavano i genitori del ragazzo per una breve vacanza scolastica. Qualche volta i tedeschi ci spararono dalle finestre senza poter individuarci, con nostra grande soddisfazione per essere riusciti nell'intento di fare i guastatori.
Conclusione: da ragazzo ne combinai delle belle facilitato dal fatto che avevamo costituito un gruppo e ci aiutavamo a vicenda per fare le pazzie che vi ho raccontato. Allora la guerra era parte importante della nostra vita quotidiana e non ci si deve meravigliare se anche dei giovani e dei ragazzi (e ragazze) diventarono dei partigiani, cioè "Banditen", come dicevano i tedeschi, e "si meritavano le fosse Ardeatine", torture, impiccagioni ed altre carneficine tedesche sulla popolazione civile in tutta Italia. Molti di questi ragazzi avevano capito che l'Italia doveva cambiare perché avevamo bisogno di democrazia e libertà.
 Il 4 giugno del 44 arrivarono gli alleati: buttammo ciò che restava dei nostri armamenti nel Tevere, salvo Carlo che divenne un importane collezionista di armi antiche e del passato pre-seconda guerra mondiale, ben conosciuto in tutta l'America meridionale perché si trasferì più tardi in Brasile dove lo rincontrai nel 1976.
Io e qualcun altro di noi ragazzini seguimmo da vicino gli avvenimenti della guerra civile fino al 25 aprile del 1945 che festeggiammo ancora insieme. Alcuni entrarono in politica: ora sono molto anziani e addirittura definitivamente "rottamati".