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NAPOLI CHE SE NE VA
Di Gennaro Aprea (del 26/05/2010 @ 16:21:02, in C) Commenti e varie, cliccato 1137 volte)
NOSTALGIA DI NAPOLI 
Questo articolo è dedicato ai napoletani che mi leggono ogni tanto, napoletani di tutte le età: quelli della mia generazione lo capiscono al volo; forse per quelli più giovani il testo è meno interessante anche se Roberto Saviano ha dato una scossa anche alle generazioni dei giovanissimi.
Questo articolo non è stato scritto da me, ma da un intellettuale che è più o meno mio coetaneo, il quale vive lontano da Napoli da molti anni ed è fratello di un altro signore, anche lui “extra-padaniatario” a Milano con permesso di soggiorno, che ho conosciuto un paio di anni fa e con il quale si è stabilita un’amicizia immediata e profonda. Un giorno ha incontrato una mia amica di vecchia data e lei ha pensato che noi due ci conoscessimo da una vita.
Umberto Vitello mi ha inviato alcuni articoli dandomi il permesso di pubblicarli sul sito e lo ringrazio pubblicamente. Grazie Umberto !                                                      
  
Pubblicato su “Lo Specchio della Città”, dicembre 2006  
 
Umberto Vitiello “Vadim” 
   Napule ca se nne va
 
La Canzone e la Napoli di ieri e di oggi
 
Napoli è una perenne canzone d’amore che si intreccia con gli eventi, i disagi, le speranze e le aspirazioni di ogni epoca.
Canzone di Napoli e storia di Napoli fanno tutt’uno.
E mi fermo qua, altrimenti potreste pensare ch’io voglia farmi passare per uno storico della canzone napoletana, mentre non sono che un suo modesto cultore e per ragioni, diciamo, contingenti.
Vivo lontano da Napoli ormai da decenni e le registrazioni delle sue canzoni più belle non solo mi tengono compagnia, ma mi permettono pure di non perdere del tutto i contatti con le mie origini partenopee.
Come per chiunque si allontani dalla propria terra, in questa mia passione musicale c’è tanta nostalgia.
Chi lo nega?
Non è forse una cosa normale perfino per chi non si è mai sognato di andarsene e di tanto in tanto ama risentire il proprio passato?
Musica della mia terra e canto nel dialetto della mia infanzia, meglio di tante vecchie fotografie, mi riportano atmosfere, voci, episodi lontani, persone e luoghi a me cari.
Non vi nascondo che quando sento “Munastero ‘e Santa Chiara” mi attraversa un brivido che mi riporta le ansie e le poche indimenticabili gioie di quand’ero un ragazzino.
Penso alla desolazione e alla miseria di quei tempi, ma anche alle persone amate ormai scomparse o perse di vista: alcuni cari familiari, l’amico del cuore, il primo amore...
Come faccio a non commuovermi?
Ripetendo talvolta come un automa le parole della canzone, una riflessione sulla mia città è inevitabile. Rivivo nel presente le paure di allora e la tristezza mi assale.
 
Munastero ‘e Santa Chiara
tengo ‘o core scuro scuro.
Ma pecché, pecché ogni sera
penso a Napule comm’era
penso a Napule comm’è ?
 
Napoli, la città più martoriata d’Italia, bombardata infinite volte dal cielo e dal mare, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando si cantava questa canzone, era in ginocchio e distrutta non solo fisicamente.
 
No, nun è ‘o vero !                                         No, non è vero!
No, nun ce credo !                                         No, non ci credo!     
E moro pe’ sta smania                                   E muoio per la smania che ho  
            ‘e turnà a Napule;                                     di tornare a Napoli;     
ma c’aggia fa ?                                              ma che devo fare?                   
Me fa paura ‘e ‘nce turnà !                              Mi fa paura di tornarci!
 
Come tornare senza temere di non trovare più la Napoli che per secoli e millenni è stata amata per il suo sorriso?
Il sorriso aperto e sincero dei suoi abitanti più umili, dei napoletani “veraci” che, eredi dell’antica Grecia, hanno sempre saputo superare con filosofia i momenti terribili della loro storia. Nonostante tutto, hanno sempre saputo guardare al proprio futuro con speranza e ottimismo.
Il sorriso radioso di chi, poeta e sognatore, sa che la vita è bella anche quando tutto sembra irrimediabilmente perduto. Anche quando la catastrofe si annuncia inevitabile.
E dal ricordo di quei tempi così tristi la canzone, la stessa canzone mi induce a non chiudere gli occhi sulla sciagurata Napoli marchiata dalla droga. La Napoli alla mercé della nuova camorra, ben più violenta e spietata di quella dei tempi passati
Allora si riuscì bene o male a confinarla in limiti sopportabili. La chiamavano la “Bella Società Riformata” e il suo Prence o Capintesta era Ciccio Cappuccio. Un nome che sembra inventato, più per far ridere che incutere timore.
Stiamo parlando della Belle Epoque.
Un periodo spensierato e felice, almeno apparentemente, anche per Napoli. Un periodo che si chiuse anche per Napoli con la Prima Guerra Mondiale, quando si cominciò a parlare seriamente e per la prima volta della scomparsa definitiva della bella, cara Napoli. Che tutti e tutto sembravano ostinarsi a rendere fin troppo simile a tante città, fredde e uguali, di questa terra.
Come ci ricorda una canzone di quel dopoguerra grigio e piatto: “Napule ca se ne va” (Napoli che se ne va).
Una canzone che è tutta una storia, come certo saprete anche voi.
Vi si narra di alcuni napoletani che fanno una scampagnata a Marechiaro: due coppie di innamorati, due comari con i rispettivi mariti e un vecchio compare che, ai suoi tempi, è stato un capo dell’”onorata società”.
Che tavolata! Prima devotamente il segno della croce, poi il compare che è istruito fa un brindisi e, mentre un’orchestra suona vecchie canzoni, si mangia allegramente.
Un po’ frastornati per il vino bevuto, tornano tutti in barca. Il compare ricorda i tempi belli di quando era un “guappo” (un bullo). Le ragazze inzuppano i taralli nell’acqua di mare, che pare d’argento.
 
E ‘a luna guarda e dice
si fosse ancora ‘o vero !
Chist’è ‘o popolo ‘e na vota,
gente semplice e felice,
chist’è Napule sincero
ca pur’isso se ne va !
 
E questa è la morale, che si ripete tre volte. Tre momenti in cui la nostalgia per la Napoli d’un tempo riaffiora acutissima, struggente.
Già allora si piangeva per una Napoli che scompariva.
Ma questa straordinaria città riuscì a riprendersi, perfino dopo quello che dovette patire durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Fino a quando non sono apparse la droga, la nuova delinquenza organizzata, la microcriminalità diffusa: belve feroci e spietate che hanno reso Napoli triste e malinconica come non lo è stata nemmeno sotto i bombardamenti.
 
Napule è mille culure                                     Napoli è mille colori
Napule è mille paure                                     Napoli è mille paure
........
Napule è nu sole amaro                                 Napoli è un sole amaro
........
Napule è na carta sporca                               Napoli è una carta sporca
e nisciuno se ne ‘mporta                                e nessuno se ne importa
e ognuno aspetta ‘a sciorta.                           e ognuno aspetta la buona sorte.
 
Di Napoli oggi sembra proprio che nessuno dei suoi abitanti se ne importi e ognuno aspetti solo un miracolo.
L’unica speranza è riposta nella buona sorte. Nella fortuna che prima o poi dovrebbe decidersi a baciare di nuovo, magari per caso, la mia dolce Napoli. La bella, cara Napoli cantata non come città di odio ma d’amore.
 
Chist’è ‘o paese do sole,
chist’è ‘o paese do mare,
chist’è ‘o paese addò tutt’ ‘e parole
so’ doce o so’ amare
so’ sempe parole d’ammore !
 
Napoli è il paese del sole, del mare, il paese dove tutte le parole, dolci o amare, sono sempre parole d’amore!
Versi da non dimenticare. Che devono e saranno sempre il suo inno patriottico.
Mentre un affabulatore partenopeo della diaspora grida con rabbia ed amore l’augurio e l’invito del Poeta:
 
Puozze n’ata vota risuscità!                            Possa ancora una volta resuscitare!
Scètete, scètete, Napule, Nà!                         Svegliati, svegliati, Napoli, Nà!
 
 

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