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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 05/12/2012 @ 19:41:35, in F) Questa è l'Italia, cliccato 763 volte)
L’INGLESE, QUESTO SCONOSCIUTO

 
Non nascondiamo la nostra disconoscenza dell’inglese dietro ad un dito ed accettiamo la realtà, cioè che questa lingua è ormai da tempo la lingua franca internazionale. Con ciò non voglio assolutamente dire che parole inglesi debbano entrare nella lingua materna, per definire cose che potremmo benissimo dire o definire in puro italiano. Un solo esempio fra i tanti: perché in questi giorni si parla tanto di “election day” in tutte le televisioni, cominciando da quelle di Stato?
Comunque veniamo al punto: qualche giorno fa ho letto i risultati di una ricerca realizzata da EF – Education First che è un’organizzazione internazionale specializzata in corsi di lingua all’estero e in vacanze-studio.
La ricerca si chiama EF EPI (English Proficiency Index) ed è stata effettuata in 54 paesi nel mondo con un questionario che è stato compilato da 1,7 milioni di adulti.
Il risultato per quanto ci riguarda è che noi italiani siamo al 24° posto per la padronanza della lingua inglese, cioè “all’inizio della coda” dei 27 dell’U.E. Non erano menzionati gli ultimi, ma immagino che dopo di noi ci siano solo i 3 paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, perché solo da pochi anni si sono avvicinati alla cultura dell’Europa occidentale; in compenso lassù moltissimi parlano il russo per essere stati per decenni “satelliti”. dell’URSS.
Le donne italiane sono migliori degli uomini Come sempre più spesso avviene in tutti i campi) e la regione dove l’inglese viene “masticato” discretamente è il Friuli-Venezia Giulia mentre la competenza più bassa si trova in Calabria. La notizia da me letta su questa ricerca non specificava quale fosse l’età degli adulti intervistati; sono certo che se comprendeva i 14-15enni le cose sarebbero andate meglio perché i giovani si danno molto da fare per tradurre le parole delle canzoni in inglese e una parte di essi ha molte occasioni di andare all’estero, soprattutto in Gran Bretagna e USA.
Qualche anno fa in questo stesso sito avevo già toccato l’argomento proponendo:
-          nelle trasmissioni televisive che sono pre-registrate, lasciar ascoltare le persone straniere che parlano la loro lingua e inserire i sottotitoli in italiano
-          stesso metodo per i film, come avviene da sempre i tutti gli stati europei, salvo la Francia dove però in numerosi cinema proiettano film in lingua originale con i sottotitoli.
In ambedue i casi gli ascoltatori si abituerebbero man mano ad ascoltare la lingua originale facendo così pratica di essa e facendosi solo aiutare dai sottotitoli ma col risultato che l’ascolto continuo della lingua favorirebbe l’apprendimento.
Però ho notato un piccolissimo miglioramento: vi sono tre annunci (non spot) pubblicitari televisivi in cui i personaggi (non testimonial) parlano in inglese e vi sono i sottotitoli in italiano; ne ricordo solo due, il primo è quello del Nespresso con George Clooney e altre comparse; il secondo è di Dolce e Gabbana con una bellissima attrice americana Janet Johanson che cerca di farci comprare un profumo di quella marca.
Chissà se questo sia un primo piccolo passo verso il cambiamento – in positivo – della nostra conoscenza dell’inglese. Ma temo che ci vorranno molti anni ancora prima di un netto miglioramento.
Bisognerebbe dire anche ai dirigenti delle televisioni e radio che i loro presentatori finalmente imparassero a pronunciare le parole inglesi come si deve; due soli esempi, mànagement si pronuncia come l’ho scritto, cioè con l’accento sulla prima “a” come d’altronde fanno per mànager gli stessi che, sbagliando, pronunciano manàgement. Ho calcolato che il 50% circa dei “fini dicitori” dei giornali-radio/telegiornali fanno molti di questi errori anche nel pronunciare altre parole; altro esempio eclatantwe è “prÌvacy” che quasi tutti pronunciano “prAIvacy”.
 
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Di Gennaro Aprea (del 29/11/2012 @ 10:43:37, in C) Commenti e varie, cliccato 681 volte)
ENORME DOMANDA DI DEMOCRAZIA

 
Su molti giornali si sono sentite dichiarazioni di questo genere parlando con soddisfazione del buon afflusso di votanti alle elezioni primarie del Centrosinistra il 25 novembre.
 
Io ricordo che, dopo la visita (criticata) che Matteo Renzi fece all’ex-presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, e appena il buon Matteo si candidò alle primarie come Presidente del Consiglio dei Ministri alle elezioni politiche di primavera 2013, il “sempre giovane” Silvio disse più volte frasi simili a: “Se il centrosinistra vince le elezioni vorrei proprio che il premier fosse Matteo Renzi”.
Appena conosciuto il risultato del primo turno, lunedì 26 ho sentito molto bene la frase di Silvio: “Speriamo che vinca Renzi al ballottaggio”.
Tutto questo ha rinforzato il mio dubbio, che avevo avuto come presidente di seggio domenica scorsa, che questa grande affluenza di votanti ed i risultati molto soddisfacenti del Matteo fossero dovuti in parte – non so quanto grande – alle decisioni di numerosi elettori abituali del PDL di votare per Matteo Renzi, cosa che succederà probabilmente anche al ballottaggio con Bersani. Allo scrutinio il numero dei votanti qui a Rodano è stato maggiore del 19% rispetto alle primarie di qualche anno fa quando Bersani fu eletto Segretario del PD; mentre ci si aspettava un’affluenza inferiore.
Abito nel mio piccolo comune da più di 43 anni e, fra i 4300 abitanti totali ne conosco molti; soprattutto mi sono sempre interessato ai loro comportamenti ed ho potuto costatare, da vecchio ambientalista quale sono, che per esempio numerosi genitori accompagnano i bambini già grandicelli a scuola con il SUV anche se abitano a 500 metri dalla scuola (ci abito di fronte); ed ho immaginato che siano elettori permanenti di Berlusconi. Sono gli stessi che nei giorni della raccolta differenziata lasciano sul marciapiede i sacchi mezzi vuoti invece di aspettare che siano completamente pieni, cioè sprecano i sacchi che il Comune distribuisce ai cittadini spendendo gli Euro che noi paghiamo. Questa è un esempio di mentalità da “ristorante sempre pieno” che se ne frega della correttezza e dell’etica della sostenibilità ambientale.
Non solo: mentre ero al tavolo e distribuivo le schede elettorali, ho notato che numerose persone non si ritiravano dietro il paravento o in cabina per non nascondere il loro voto; in almeno 4 casi ho involontariamente potuto leggere il voto per Renzi. Uno di essi, mio vicino di casa, ha preso la scheda elettorale l’ha poggiata sul tavolo a 40 cm dai miei occhi ed ha volutamente messo la sua “X” sul nome di Renzi, salutandomi e ridendo cordialmente...... E’ un dirigente di una società della holding Fininvest
Probabilmente mi sono sbagliato, e vorrei che fosse proprio così, però, però ...non potrebbe anche essere che molte di queste persone abbiano interpretato le frasi di Berlusconi come un ordine di scuderia?
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Di Gennaro Aprea (del 28/11/2012 @ 18:36:00, in L) Zero-carbonio, cliccato 901 volte)
SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE DEI PRODOTTI :
DALLE PAROLE AI FATTI

 
Questo è il titolo accattivante di un convegno organizzato dalla Camera di Commercio di Milano – Dipartimento Ambiente e Territorio che si è svolto il 15 novembre scorso. Non era la prima volta che assistevo a un evento in cui si discuteva di questo importante argomento che sta giustamente prendendo piede nel settore produttivo; il precedente evento era stato organizzato da Legambiente in collaborazione con l’Università Bocconi e la partecipazione del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini: in quel caso il titolo è stato: “L’impronta ambientale dei prodotti”. Gli anglosassoni lo chiamano “green marketing”
 
Ma di cosa si parla? Innanzi tutto è bene precisare che l’impronta ambientale dei prodotti è l’analisi di tutto ciò che le imprese utilizzano per la fabbricazione di essi, cioè i fattori della produzione necessari per produrre un qualsiasi bene, cioè fonti di energia nel senso più ampio del termine, acqua, suolo occupato dove il bene viene fabbricato, ecc.; e non solo ciò che viene impiegato nella produzione del bene stesso, ma anche nei più (o meno) necessari imballaggi.
L’impronta ambientale deve essere quindi stabilita esaminando l’intero processo produttivo per far sì che questo processo sia ottimizzato nel tempo minimizzando l’impiego dei vari fattori della produzione.
Le imprese che adottano questo sistema possono quindi migliorare l’impronta ambientale dei loro prodotti diminuendo l’uso delle fonti di energia, ecc.
Il risultato positivo aggiuntivo è che i loro costi possono diminuire in favore della redditività dell’impresa in un processo pluriennale di ottimizzazione della produzione, che può anche incidere sul prezzo dei vendita per migliorarne la competitività.
Contemporaneamente le imprese possono comunicare al mercato, cioè ai consumatori l’adozione di questo processo virtuoso cioè il valore della sostenibilità del bene (così come è stato già fatto nel campo dell’etichettatura, in quello degli ingredienti per i prodotti alimentari, ecc.) con il risultato di ottenere la preferenza dei clienti rispetto alla concorrenza che non adotta questo metodo. Da qui la definizione di “green marketing”.
Il convegno della CCIAA di Milano era quindi rivolto alle imprese (dichiaratamente le Piccole e Medie – PMI) per illustrare quanto la comunità nazionale ed internazionale ha fatto finora e sta ancora perfezionando per stabilire le regole della sostenibilità dei prodotti. In particolare sono stati affrontati i seguenti argomenti:
-          Environmental Product Declarement (EPD) cioè la “dichiarazione ambientale di prodotto” ovvero le regole per raggiungere la certificazione ambientale del prodotto
-          La quantità di combustibili e carburanti (per il trasporto) necessari alla produzione  e al trasporto delle materie prime fino al prodotto finito e la sua immissione sul mercato
-          Carbon footprint cioè l’impronta dei gas serra (CO2 ed affini)sul prodotto ed i relativi tagli che dovranno essere fra il 25 ed il 40% entro il 2020, e almeno l’80% entro il 2050, tutti derivanti dalla combustione dei carburanti e combustibili
-          Water footprint, cioè l’impronta idrica ovvero la quantità d’acqua usata per produrre qualsiasi cosa, dal prodotti alimentari provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, carta, abbigliamento, ecc. per l’intera filiera dal produttore al consumatore (acqua per cucinare)
-          In definitiva l’Environmental footprint, cioè l’impronta ambientale in generale.
Si è parlato naturalmente dei criteri già definiti o invia di definizione necessari alla certificazione e qualificazione di questa Impronta ambientale dei prodotti che servirà alle imprese per essere classificate ammesse a dichiarare la sostenibilità dei loro prodotti.
I relatori, tutti espertissimi, sono stati 11 ed hanno esposto le loro conoscenze in materia dalle 9,30 (più il quarto d’ora accademico) alle 13,10, che poi sono diventate le 14, con un leggero “light lunch “ al termine del convegno.
 
Dunque tutto bene? Certamente, salvo:
-          la sala del convegno era piena al 60% circa (all’inizio) e alla fine era rimasto solo il 50% scarso; fra i quali vi era una minoranza di imprenditori
-          perché? evidentemente la CCIAA non era riuscita a convincerli a partecipare ....ma si sa: in questo periodo di crisi difficilmente trovano il tempo di informarsi e di acculturarsi, dimostrando così la loro limitatezza professionale
-          gli ottimi relatori parlavano da addetti ai lavori per gli addetti ai lavori; molto spesso a velocità impressionante e sfoderando una serie di sigle e numeri con tabelle illeggibili e spesso in inglese, così che i rappresentanti degli imprenditori presenti certamente non erano in grado  di seguire agevolmente il filo dei discorsi.
-          non so quanti giornalisti fossero stati invitati e presenti; certamente non credo che anche loro siano stati in grado di seguire facilmente il contenuto delle esposizioni per essere in grado di riferire agli interessati; i quali non sono solo gli imprenditori, ma anche i consumatori.
-          infatti non mi risulta che in platea vi fossero dei “cittadini-consumatori” i quali in definitiva – ripeto - sono i destinatari finali di questo argomento così come è già in parte avvenuto per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti che essi acquistano.
-          In definitiva quegli imprenditori che sono rimasti hanno capito che per ottenere la certificazione (che deve essere ripetuta negli anni per dimostrare il continuo miglioramento dell’impronta ecologica dei loro prodotti), sarà necessario rivolgersi “agli addetti ai lavori” che daranno consulenza, altrimenti si perderanno nei meandri delle centinaia di sigle contenute nei regolamenti nazionali, europei e internazionali, cioè ISO, EN, UNI, seguiti da altrettanti codici numerici di 5 cifre, ed anche SGE (Sistema di Gestione dell’Energia), PCF (Product Environmental Footprint), SGA (Sistema di Gestione Ambientale), LCA (Life Cycle Assessment)....e vi faccio grazia di interrompere la lista.
In conclusione il convegno si sarebbe dovuto svolgere per l’intera giornata perché tutti i relatori-consulenti correvano e cambiavano le “slides” senza dare il tempo necessario a leggerle mentre parlavano a velocità da Formula 1. Spesso anch’io ho fatto fatica a seguirli.
Cose importanti come queste hanno bisogno di essere comunicate al grande pubblico con parole facili e comprensibili ai più; ho controllato per un paio di giorni successivi su un paio di quotidiani e sui telegiornali: silenzio assoluto.
W le “torri d’avorio !
In definitiva la CCIAA ha offerto un servizio positivo che però non ha colto nel segno come avrebbe potuto.
Si dovrà ancora parlare molto dell’impronta ambientale dei prodotti perché l’adozione di questa strategia di marketing nell’interesse di tutti, imprenditori e consumatori, potrà fare solo del bene alle imprese che la adotteranno perché costringeranno la concorrenza dei molti produttori senza scrupoli i quali si disinteressano di sostenibilità ad adattarsi con un normale aumento dei costi e quindi dei prezzi ora competitivi da loro praticati. Se questi ultimi non lo faranno saranno battuti perché i consumatori sempre più informati non acquisteranno i loro prodotti che inevitabilmente resteranno nei loro depositi.
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