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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 29/11/2012 @ 10:43:37, in C) Commenti e varie, cliccato 734 volte)
ENORME DOMANDA DI DEMOCRAZIA

 
Su molti giornali si sono sentite dichiarazioni di questo genere parlando con soddisfazione del buon afflusso di votanti alle elezioni primarie del Centrosinistra il 25 novembre.
 
Io ricordo che, dopo la visita (criticata) che Matteo Renzi fece all’ex-presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi, e appena il buon Matteo si candidò alle primarie come Presidente del Consiglio dei Ministri alle elezioni politiche di primavera 2013, il “sempre giovane” Silvio disse più volte frasi simili a: “Se il centrosinistra vince le elezioni vorrei proprio che il premier fosse Matteo Renzi”.
Appena conosciuto il risultato del primo turno, lunedì 26 ho sentito molto bene la frase di Silvio: “Speriamo che vinca Renzi al ballottaggio”.
Tutto questo ha rinforzato il mio dubbio, che avevo avuto come presidente di seggio domenica scorsa, che questa grande affluenza di votanti ed i risultati molto soddisfacenti del Matteo fossero dovuti in parte – non so quanto grande – alle decisioni di numerosi elettori abituali del PDL di votare per Matteo Renzi, cosa che succederà probabilmente anche al ballottaggio con Bersani. Allo scrutinio il numero dei votanti qui a Rodano è stato maggiore del 19% rispetto alle primarie di qualche anno fa quando Bersani fu eletto Segretario del PD; mentre ci si aspettava un’affluenza inferiore.
Abito nel mio piccolo comune da più di 43 anni e, fra i 4300 abitanti totali ne conosco molti; soprattutto mi sono sempre interessato ai loro comportamenti ed ho potuto costatare, da vecchio ambientalista quale sono, che per esempio numerosi genitori accompagnano i bambini già grandicelli a scuola con il SUV anche se abitano a 500 metri dalla scuola (ci abito di fronte); ed ho immaginato che siano elettori permanenti di Berlusconi. Sono gli stessi che nei giorni della raccolta differenziata lasciano sul marciapiede i sacchi mezzi vuoti invece di aspettare che siano completamente pieni, cioè sprecano i sacchi che il Comune distribuisce ai cittadini spendendo gli Euro che noi paghiamo. Questa è un esempio di mentalità da “ristorante sempre pieno” che se ne frega della correttezza e dell’etica della sostenibilità ambientale.
Non solo: mentre ero al tavolo e distribuivo le schede elettorali, ho notato che numerose persone non si ritiravano dietro il paravento o in cabina per non nascondere il loro voto; in almeno 4 casi ho involontariamente potuto leggere il voto per Renzi. Uno di essi, mio vicino di casa, ha preso la scheda elettorale l’ha poggiata sul tavolo a 40 cm dai miei occhi ed ha volutamente messo la sua “X” sul nome di Renzi, salutandomi e ridendo cordialmente...... E’ un dirigente di una società della holding Fininvest
Probabilmente mi sono sbagliato, e vorrei che fosse proprio così, però, però ...non potrebbe anche essere che molte di queste persone abbiano interpretato le frasi di Berlusconi come un ordine di scuderia?
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Di Gennaro Aprea (del 28/11/2012 @ 18:36:00, in L) Zero-carbonio, cliccato 951 volte)
SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE DEI PRODOTTI :
DALLE PAROLE AI FATTI

 
Questo è il titolo accattivante di un convegno organizzato dalla Camera di Commercio di Milano – Dipartimento Ambiente e Territorio che si è svolto il 15 novembre scorso. Non era la prima volta che assistevo a un evento in cui si discuteva di questo importante argomento che sta giustamente prendendo piede nel settore produttivo; il precedente evento era stato organizzato da Legambiente in collaborazione con l’Università Bocconi e la partecipazione del Ministro dell’Ambiente Corrado Clini: in quel caso il titolo è stato: “L’impronta ambientale dei prodotti”. Gli anglosassoni lo chiamano “green marketing”
 
Ma di cosa si parla? Innanzi tutto è bene precisare che l’impronta ambientale dei prodotti è l’analisi di tutto ciò che le imprese utilizzano per la fabbricazione di essi, cioè i fattori della produzione necessari per produrre un qualsiasi bene, cioè fonti di energia nel senso più ampio del termine, acqua, suolo occupato dove il bene viene fabbricato, ecc.; e non solo ciò che viene impiegato nella produzione del bene stesso, ma anche nei più (o meno) necessari imballaggi.
L’impronta ambientale deve essere quindi stabilita esaminando l’intero processo produttivo per far sì che questo processo sia ottimizzato nel tempo minimizzando l’impiego dei vari fattori della produzione.
Le imprese che adottano questo sistema possono quindi migliorare l’impronta ambientale dei loro prodotti diminuendo l’uso delle fonti di energia, ecc.
Il risultato positivo aggiuntivo è che i loro costi possono diminuire in favore della redditività dell’impresa in un processo pluriennale di ottimizzazione della produzione, che può anche incidere sul prezzo dei vendita per migliorarne la competitività.
Contemporaneamente le imprese possono comunicare al mercato, cioè ai consumatori l’adozione di questo processo virtuoso cioè il valore della sostenibilità del bene (così come è stato già fatto nel campo dell’etichettatura, in quello degli ingredienti per i prodotti alimentari, ecc.) con il risultato di ottenere la preferenza dei clienti rispetto alla concorrenza che non adotta questo metodo. Da qui la definizione di “green marketing”.
Il convegno della CCIAA di Milano era quindi rivolto alle imprese (dichiaratamente le Piccole e Medie – PMI) per illustrare quanto la comunità nazionale ed internazionale ha fatto finora e sta ancora perfezionando per stabilire le regole della sostenibilità dei prodotti. In particolare sono stati affrontati i seguenti argomenti:
-          Environmental Product Declarement (EPD) cioè la “dichiarazione ambientale di prodotto” ovvero le regole per raggiungere la certificazione ambientale del prodotto
-          La quantità di combustibili e carburanti (per il trasporto) necessari alla produzione  e al trasporto delle materie prime fino al prodotto finito e la sua immissione sul mercato
-          Carbon footprint cioè l’impronta dei gas serra (CO2 ed affini)sul prodotto ed i relativi tagli che dovranno essere fra il 25 ed il 40% entro il 2020, e almeno l’80% entro il 2050, tutti derivanti dalla combustione dei carburanti e combustibili
-          Water footprint, cioè l’impronta idrica ovvero la quantità d’acqua usata per produrre qualsiasi cosa, dal prodotti alimentari provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento, carta, abbigliamento, ecc. per l’intera filiera dal produttore al consumatore (acqua per cucinare)
-          In definitiva l’Environmental footprint, cioè l’impronta ambientale in generale.
Si è parlato naturalmente dei criteri già definiti o invia di definizione necessari alla certificazione e qualificazione di questa Impronta ambientale dei prodotti che servirà alle imprese per essere classificate ammesse a dichiarare la sostenibilità dei loro prodotti.
I relatori, tutti espertissimi, sono stati 11 ed hanno esposto le loro conoscenze in materia dalle 9,30 (più il quarto d’ora accademico) alle 13,10, che poi sono diventate le 14, con un leggero “light lunch “ al termine del convegno.
 
Dunque tutto bene? Certamente, salvo:
-          la sala del convegno era piena al 60% circa (all’inizio) e alla fine era rimasto solo il 50% scarso; fra i quali vi era una minoranza di imprenditori
-          perché? evidentemente la CCIAA non era riuscita a convincerli a partecipare ....ma si sa: in questo periodo di crisi difficilmente trovano il tempo di informarsi e di acculturarsi, dimostrando così la loro limitatezza professionale
-          gli ottimi relatori parlavano da addetti ai lavori per gli addetti ai lavori; molto spesso a velocità impressionante e sfoderando una serie di sigle e numeri con tabelle illeggibili e spesso in inglese, così che i rappresentanti degli imprenditori presenti certamente non erano in grado  di seguire agevolmente il filo dei discorsi.
-          non so quanti giornalisti fossero stati invitati e presenti; certamente non credo che anche loro siano stati in grado di seguire facilmente il contenuto delle esposizioni per essere in grado di riferire agli interessati; i quali non sono solo gli imprenditori, ma anche i consumatori.
-          infatti non mi risulta che in platea vi fossero dei “cittadini-consumatori” i quali in definitiva – ripeto - sono i destinatari finali di questo argomento così come è già in parte avvenuto per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti che essi acquistano.
-          In definitiva quegli imprenditori che sono rimasti hanno capito che per ottenere la certificazione (che deve essere ripetuta negli anni per dimostrare il continuo miglioramento dell’impronta ecologica dei loro prodotti), sarà necessario rivolgersi “agli addetti ai lavori” che daranno consulenza, altrimenti si perderanno nei meandri delle centinaia di sigle contenute nei regolamenti nazionali, europei e internazionali, cioè ISO, EN, UNI, seguiti da altrettanti codici numerici di 5 cifre, ed anche SGE (Sistema di Gestione dell’Energia), PCF (Product Environmental Footprint), SGA (Sistema di Gestione Ambientale), LCA (Life Cycle Assessment)....e vi faccio grazia di interrompere la lista.
In conclusione il convegno si sarebbe dovuto svolgere per l’intera giornata perché tutti i relatori-consulenti correvano e cambiavano le “slides” senza dare il tempo necessario a leggerle mentre parlavano a velocità da Formula 1. Spesso anch’io ho fatto fatica a seguirli.
Cose importanti come queste hanno bisogno di essere comunicate al grande pubblico con parole facili e comprensibili ai più; ho controllato per un paio di giorni successivi su un paio di quotidiani e sui telegiornali: silenzio assoluto.
W le “torri d’avorio !
In definitiva la CCIAA ha offerto un servizio positivo che però non ha colto nel segno come avrebbe potuto.
Si dovrà ancora parlare molto dell’impronta ambientale dei prodotti perché l’adozione di questa strategia di marketing nell’interesse di tutti, imprenditori e consumatori, potrà fare solo del bene alle imprese che la adotteranno perché costringeranno la concorrenza dei molti produttori senza scrupoli i quali si disinteressano di sostenibilità ad adattarsi con un normale aumento dei costi e quindi dei prezzi ora competitivi da loro praticati. Se questi ultimi non lo faranno saranno battuti perché i consumatori sempre più informati non acquisteranno i loro prodotti che inevitabilmente resteranno nei loro depositi.
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Di Gennaro Aprea (del 12/11/2012 @ 15:51:03, in F) Questa è l'Italia, cliccato 925 volte)
VELOCITA’ MASSMA IN CITTA’: 30 KM/ORA ?
 
Un paio di giorni fa, mi sembra sul telegiornale regionale della Lombardia, ho sentito la proposta - all’apparenza molto seria – di diminuire la velocità massima degli  autoveicoli in città da 50 a 30 km/ora a seguito di numerosi recenti incidenti che hanno provocato l’uccisione di pedoni e ciclisti.
Vorrei proprio conoscere chi ha avuto questa bella idea che è stata ospitata da un importante telegiornale della RAI.
Possibile che nessuno si sia reso conto dell’assurdità di questa proposta veramente insensata?
Guidare un’auto o un furgone o un autocarro a quella velocità significa dover far andare il veicolo in in seconda o terza marcia per un veicolo a 5 marce (o in quarta se l’auto è molto potente ed ha un motore “elastico” o ha 6 marce).
Andare in terza marcia a 30 all’ora significa anche far girare il motore come se si andasse in quinta a 130 o più all’ora, a seconda dei modelli, quindi emettere CO2 (gas serra) e particolati inquinanti quindi nocivi alla salute in quantità tripla o anche più....
I limiti di velocità in città e fuori città (che tutti conosciamo: 50, 70, 90, 110, 130, 150) sono stabiliti dall’Art. 142 del Codice della Strada (posseggo l’edizione agosto 2003) tuttavia l’Art. 141 dice: “E’ obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato e al carico del veicolo, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza per le persone e delle cose....”.
Queste regole non sono mai state prese in seria considerazione nemmeno dalle Forze dell’Ordine dopo lo sviluppo enorme della circolazione automobilistica degli ultimi 50 anni.
Ricordo benissimo che la Polizia Stradale e quella Locale potevano comminare una contravvenzione “per eccesso di velocità” se in particolari circostanze questa era anche al di sotto delle regole fissate.
Dato per certo che l’inquinamento eccessivo in città sia causa di malattie mortali di numerose persone che vi transitano e vi abitano, ben di più di quelle già troppe uccise da pazzi o incoscienti guidatori, non si può fissare un limite così basso.
Sarebbe opportuno invece aumentare di molto i controlli e le ammende, compreso la sospensione della patente per lunghi periodi e periodi di detenzione domiciliare controllata.
E mi piacerebbe rivedere i Vigili Urbani di una volta che, in momenti di traffico intenso, facevano segno ai conducenti di affrettarsi ad aumentare la velocità per liberare gli intasamenti.
In Italia, invece di fare i controlli, in condizioni di traffico difficoltoso, per esempio lavori in corso, si mettono cartelli di limiti di velocità assurdi, per esempio 10 o 20 all’ora, o 40 o 50 o 70 in autostrada se le corsie da tre sono ridotte a due (come sulle autostrade che ne hanno effettivamente due e si può viaggiare a 130/ora), anche nei giorni festivi o in ore di interruzione dei lavori.
Questi assurdi limiti di velocità fanno sì che gli automobilisti non ci fanno più caso. Che provino ad andare in Germania o in Francia o in Gran Bretagna e fregarsene dei limiti di velocità che lassù sono ragionevoli: si è sempre presi e piovono contravvenzioni senza scampo!
Molti controlli, meno morti più conducenti attenti e civili per “educazione forzata” che è buona anche per le casse comunali, non solo per i divieti di sosta.
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