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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 14/08/2012 @ 19:23:27, in A) Aziende, innovazione, produttività, costi, ecc., cliccato 1001 volte)
I COSTI DELLA BUROCRAZIA
 
Durante la mia lunga vita di lavoro (49 anni:1957-2006) ho avuto numerosissime occasioni di avere contatti con le svariate imprese alle quali ho venduto, con altre dalle quali ho comprato o con le quali ho trattato e ho discusso e gestito contratti, ed anche con le varie amministrazioni, locali, regionali e centrali. Per non parlare dei colleghi consulenti di management di 10 stati europei con i quali ho collaborato.
Tutto ciò nei sei paesi esteri dove ho vissuto e lavorato, più naturalmente l’Italia, ed in altri 69 con i quali ho avuto a che fare per lavoro.
Il primo di questi paesi è stato la Nigeria, quando questo stato era ancora una colonia britannica nel 1957-58. Perché questa precisazione? La ragione principale sta nel fatto che in quel paese la maniera di operare nel business e nei contatti con le amministrazioni era quella prettamente britannica, ove in pratica la parola “burocracy” non esisteva se non per riferirsi a quella strana cosa inventata dai francesi. Ebbene questa maniera di lavorare con rapporti di business ove la burocrazia è leggerissima o inesistente, mi ha dato il cosiddetto “imprinting” cioè la stessa mentalità e relativi comportamenti
Negli ultimi 16 anni del periodo di lavoro ho avuto anche a che fare con la Commissione Europea, in pratica l’istituzione che è un po’ il governo dell’Unione Europea.
Scusatemi di questa lunga premessa in cui parlo di me, ma da tempo sono convinto – e l’ho accennato più volte in passate occasioni – che una delle più grandi disgrazie della struttura economica italiana è proprio la pesante burocrazia. Penso che siate d’accordo che ognuno di noi, anche nella vita privata, abbiamo avuto ed abbiamo incontri e scontri con problemi burocratici che ci rovinano la vita...e ci costano anche in termini di esborso di denaro.
La zona più ricca di burocrazia comprende tutte, nessuna esclusa, le amministrazioni a tutti i livelli; ma anche le aziende private o semi pubbliche cercano di fare concorrenza alle prime in queste abitudini.
Negli ultimi mesi il governo italiano ha parlato  di ripresa e di sviluppo per risolvere i nostri ben conosciuti da tutti ormai, problemi finanziari dello Stato e delle imprese, il tutto aggravato da un crisi mondiale senza ormai alcun precedente simile. Ormai sappiamo tutti cosa bisogna fare, ma gli strumenti per raggiungere questi scopi non sono molto chiari e definiti.
Anche il governo precedente aveva affidato al Ministro Brunetta il compito di snellire la burocrazia: in 3 anni e mezzo abbiamo visto cosa è stato capace di fare: diminuzione della burocrazia, 0, 5% (questa cifra è una mia sensazione spannometrica).
Ritengo che oggi non si può far partire rapidamente alcuno sviluppo o ripresa senza dare molti decisi tagli di accetta alla burocrazia, tagli che sono il come raggiungere questi traguardi. Non ci scordiamo dell’enorme quantità di leggi italiane rispetto a quelle di altri paesi europei.
Si parla molto di redditività del lavoro, di sviluppo degli investimenti che provocano nuovi posti di lavoro, di incentivi alle imprese per lo stesso scopo, di diminuzione degli sprechi, di facilità di fare impresa, ecc.
Se pensiamo un momento a quante volte abbiamo vissuto o abbiamo letto o ascoltato esempi di radicate consuetudini burocratiche che sono gli esempi della negazione della possibilità di raggiungere i programmi appena accennati.
Non vi sto a dare molti esempi, ma sono certo che leggendo quei pochi forse banali che vi descrivo, vi verranno in mente quelli da voi vissuti e percepiti anche al di fuori del vostro vivere personale o familiare.
1)     Fino a 5 anni fa ho mantenuto dei piccoli investimenti, non più di 15.000 Euro, gestiti dalla mia banca. Poi ho monetizzato tutto. Ieri mi è arrivata l’ennesima lunga lettera della banca (una delle più importanti in Italia comprata qualche anno fa dai francesi) indirizzata ai “detentori di deposito titoli” nella quale mi avvisano di obblighi di fare o non fare certe cose. Ovviamente non mi riguarda ed ho anche telefonato due volte in passato per dire di cancellarmi dall’indirizzario per una questione logica; risposta: “è difficile che noi possiamo da qui (Milano) gestire questo disguido (riconosciuto) che dipende da Roma; provi a chiamare o meglio a scrivere e Roma.... però loro lo fanno automaticamente....”. Naturalmente non voluto perdere altro tempo ed ogni lettera passata e successiva andrà direttamente nel sacco della carta per il riciclo. Pensiamo a quante lettere uguali o per altre ragioni simili partiranno ancora per me e migliaia di persone che hanno disinvestito: carta, inchiostro, stampa imbustamento, spedizione postale. Sono i costi della burocrazia che non fanno aumentare la produttività delle imprese e quindi i prezzi dei loro servizi.
2)     Ed ora un esempio importante. un paio di mesi fa ho letto sull’Espresso di una “missione delicata”, cioè del rinnovo dei vertici. Si tratta di tre enti che operano nell’ambito del Ministero dell’Economia che li controlla. GSE Spa (Gestore dei Servizi Energetici), GME (Gestore dei Mercati Energetici) al 100% di GSE, e Acquirente Unico (di energia) che è una SpA del gruppo GSE. “....I tre soggetti – scrive il giornalista che si firma S.A. – svolgono un ruolo chiave nell’assegnazione degli incentivi per le energie rinnovabili (oltre 14 miliardi (in 10 anni). Per dirimere la questione, il Ministro Corrado Passera ha insediato un apposito organismo guidato dal Sottosegretario Claudio De Vincenti. Alle Commissioni Attività produttive del Senato e della Camera c’è già chi mugugna sul rischio di conflitti di interessi per alcuni nomi”. Segue un elenco di persone che sono legate ad importanti aziende che producono rinnovabili da legami attuali o indiretti. Se questa non è burocrazia, ditemi voi cos’è; e pensate un momento al numero di persone coinvolte che sono pagate lautamente e che discutono per prendere delle decisioni che saranno raggiunte in tempi lunghissimi dopo discussioni altrettanto chilometriche. Perché 3 enti? perché un organismo in più? E allora cosa fanno le Commissioni parlamentari? ...Da dove comincia la ripresa e lo sviluppo? Conclusione: burocrazia = spreco di denaro e di tempo.
3)     Sempre a proposito di problemi ambientali ai quali, come sapete, sono particolarmente interessato. Se un’impresa del settore delle rinnovabili alla quale sono destinati degli incentivi d’investimento (es. una centrale fotovoltaica sui tetti di un’azienda industriale), inizia il processo, completa l’opera, deve attendere un lungo periodo perché una pesante burocrazia ritarda la concessione di permessi di impianti pronti a funzionare anche fino a 12 mesi durante i quali l’impianto non può iniziare l’attività e l’imprenditore non riceve gli incentivi. Senza dimenticare le difficoltà di accesso agli incentivi rispetto alle direttive europee da parte della stessa burocrazia. In conclusione si aggiunge una mancanza di visione globale dei governi centrali e regionali che operano con decisioni isolate, senza considerare le interconnessioni fra le varie energie rinnovabili.
 
Non voglio annoiarvi, quindi mi fermo qui, ma sono certo che condividete il mio punto di vista che la burocrazia, specialmente quella italiana, è la sorgente di alti costi che si riflettono pesantemente sull’economia di uno stato ritardando lo sviluppo con tutto ciò che di positivo ne consegue..
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Di Gennaro Aprea (del 10/08/2012 @ 16:13:53, in F) Questa è l'Italia, cliccato 738 volte)
INFORMAZIONE SCADENTE: TASSE, IMPOSTE, PATRIMONIALI E DINTORNI
 
Innanzi tutto mi metto una notevole quantità di cenere sul capo per non aver scritto un rigo per tanto tempo, circa un mese e mezzo, quindi mi scuso con i miei lettori che ogni tanto aprono questo piccolo blog e si aspettano di leggere qualcosa di nuovo. Le ragioni sono numerose, fra le quali le vacanze fatte in luglio dove non avevo connessione ad Internet e i molti impegni ed infine, più importante delle altre, la situazione politica, economica e finanziaria che ci ha “alluvionato” di pessime notizie facendomi passare la voglia di mettere giù pensieri che sarebbero stati certamente pessimi. Non voglio giustificarmi perché la colpa è tutta mia, con l’aggiunta di tanta pigrizia che mi ha fatto pensare e decidere: “domani lo faccio” per troppi giorni.
Ho visto che gli argomenti dei miei due ultimi articoli erano un’accusa ad alcuni giornalisti: purtroppo ciò che mi accingo a scrivere è la continuazione.
Confermo il mio pensiero e convinzione, più volte espressi, che il compito della stampa, cartacea e non, è quello di dare informazioni corrette; sfortunatamente la frequenza di informazione scadente aumenta.
Un primo piccolo esempio molto recente. In un articolo intitolato “L’Europa si scopre più green: Gas Serra ridotti nelle città” apparso il 23 luglio scorso su Economia, Affari e Finanza di La Repubblica, ho letto: “......Dai rilevamenti è emerso che difficilmente verranno centrati gli obiettivi di Kyoto (la riduzione del 20% dei gas effetto serra entro il 2020).....”. Ebbene il Nostro ha dato un’informazione monca (20% in meno rispetto a quando?) ed ha scambiato gli obiettivi di Kyoto con quelli dell’Unione Europea (il 20% di emissioni rispetto a quelle del 1990).
Il “Protocollo di Kyoto”, firmato nel dicembre 1997, dopo due Convenzioni Quadro sui Cambiamenti Climatici- (Agenda 21 di Rio de Janeiro 1992), con il quale si stabilì che le emissioni di CO2 e degli altri gas serra dovevano diminuire mediamente del 5,2% a livello mondiale rispetto a quelle del 1990, con punte del 6% in Giappone, del 7% negli USA e dell’8% in UE, cioè i paesi più industrializzati e maggiormente inquinanti per l’alta concentrazione di abitanti per Km quadrato. Il protocollo prevedeva che l’anno in cui tali diminuzioni dovevano essere raggiunte fosse il 2012, e non il 2020. Per una corretta informazione devo aggiungere che ad oggi, cioè quasi alla fine del 2012, le emissioni nel mondo, invece di diminuire, sono purtroppo aumentate del 50% !
Ma veniamo alla cattiva informazione più importante di questo semplice lapsus.
Fra i tanti editorialisti che scrivono, numerosi sono quelli laureati in lettere, in filosofia, in discipline tecniche quali ingegneria, matematica e fisica e dottrine simili, i quali non hanno mai studiato le istituzioni del diritto ed il diritto privato e finanziario. Poi ci sono quelli laureati in scienze politiche, in giurisprudenza, in economia e commercio e simili che invece hanno studiato i diritti.....ma sembra che li abbiano dimenticati.
Questa lunga premessa per dire che ho letto numerosi articoli scritti da altrettanti giornalisti che parlano “a schiovere”, come si dice a Napoli, cioè aprono bocca e gli danno fiato, quando discettano su tasse, patrimoniali, ecc. argomenti di cui si è molto parlato in questi ultimi mesi e di cui si continua a parlare perché toccano le nostre tasche.
Cominciamo dal principio: tutte le imposizioni fiscali da parte di uno stato nei confronti dei suoi cittadini, hanno in generale il fine di finanziare il complesso di enti centrali e locali che gestiscono l’amministrazione e soprattutto - o almeno così dovrebbe essere – dare ai cittadini i servizi di cui hanno bisogno.
Comunque in Italia siamo un po’ più precisi di alcuni altri importanti stati stranieri quando ci riferiamo all’utilizzo della fiscalità; infatti noi distinguiamo fra tasse e imposte, mentre altrove si parla principalmente di TASSE (es. la nostra IVA, Imposta sul Valore Aggiunto, in Francia si chiama TVA, Taxe sur la Valeur Adjointe e in Gran Bretagna VAT, Value Added Tax , parola che anche gli americani usano per la loro varia fiscalità federale, statale e locale – i tedeschi sono precisi (ve lo aspettavate?) come noi e parlano di Steuer, che significa Imposta).
Inoltre si vi sono le Imposte dirette e indirette, tutte cose che sembra molti giornalisti abbiano lasciato nel dimenticatoio contribuendo a creare confusione e imprecisioni.
 
In genere la Tassa è un’imposizione diretta al cittadino in corrispettivo di un preciso servizio; per esempio la TARSU, TAssa per la raccolta dei Rifiuti Solidi Urbani, oppure quella per l’occupazione di suolo pubblico, o la tassa di possesso per i veicoli, tutte quantificate in base a un elemento numerico, i metri quadri , i vani, la potenza del motore, ecc.
Le IMPOSTE dirette sono l’IRPEF (sui Redditi di Persona Fisica), ora chiamata semplicemente IRE, la famosa PATRIMONIALE come per esempio l’IMU o la parte aumentata di IRE per i redditi di cittadini molto abbienti, oppure quella paventata, di cui si discute all’infinito su tutti i patrimoni dei cittadini.
Infine le IMPOSTE indirette come l’IVA, le Accise (sui carburanti o sugli alcolici, ecc.) non hanno alcun legame con il reddito del cittadino che acquista migliaia di prodotti e/o servizi, oppure fa il pieno alla propria auto, ecc..  La loro carattersitica principale è che l'imposizione fiscale non  tiene assolutamente conto del reddito del cittadino consumatore: colpisce in ugual misura il povero e  l'abbiente.
 
Perché queste precisazioni? perché ho sentito giornalisti, che scrivono e discutono in TV o alla radio, che hanno fatto una grande confusione fra questi vari tipi di imposizione fiscale, così che a loro volta i cittadini e numerosi imprenditori che li ascoltano parlano e straparlano sempre di “tasse patrimoniali indirette” o di “tasse sulla benzina” che considerano un attentato ai loro redditi personali. I giornalisti si comportano male ed accusano più o meno giustamente i governi i quali sono stramaledetti dai cittadini senza sapere esattamente di cosa si tratta, i quali al loro volta “parlano a schiovere”, compreso alcuni – pochi per fortuna - comici di strada e televisivi.
Questa è la cattiva informazione di molti giornalisti laureati che hanno imparato negli ultimi 20 anni da numerosi politici importanti ad essere approssimativi e spesso incompetenti. Voglio invece spezzare una lancia in favore di alcuni bravi giornalisti non laureati, primo fra tutti Gianantonio Stella, che sono quasi tutti migliori dei primi.
 
Spero di non avervi troppo annoiato.
 
 
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Di Gennaro Aprea (del 23/06/2012 @ 18:40:00, in F) Questa è l'Italia, cliccato 532 volte)
CHILOMETRI DI RETE METROPOLITANA
 
Alcune volte i giornalisti sparano giù numeri per impressionare negativamente i lettori, cosa che in alcuni casi contrasta vistosamente con l’etica della professione.
Mi riferisco alla nota di pagina 22 di mercoledì 20 giugno in cui ho letto, a proposito della “Rete Metro”, che Londra possiede 400 km, Roma 37 e Milano 83. Messa così sembra che in Italia abbiamo reti metropolitane che all’estero avevano nell’800.
Sarebbe quindi necessario precisare che gli abitanti delle tre città sono:
-          Londra 7,2 milioni
-          Roma 2,78   “
-          Milano 1,32 “
Allora sarebbe giusto calcolare i metri di binari per abitante: così ciascun londinese ha 17 metri, il milanese 15,96 e solo il romano sta male, cioè 7,51.
Se poi si vuol essere seri nel dare informazioni sarebbe bene aggiungere che Milano ha un piccolo territorio e che il cosiddetto territorio metropolitano comprende circa 2,5 di abitanti i quali sono serviti anche dalle Ferrovie Nord Milano e dal “Passante ferroviario” i quali fanno servizio di metropolitana anche in piena città, mentre Roma ha un territorio molto esteso (che comprende per esempio Ostia, Fregene e molti quartieri distanti dal centro come il Labaro) ma che è servito dalle Ferrovie Nord (anche loro passano in piena città) e dalla Ferrovia Ostiense. La rete metropolitana di Londra serve anche comuni fuori città che fanno notevolmente diminuire il numero di metri per abitante.
Penso che i lettori de La Repubblica che conoscono un po’ il mondo, non si siano lasciati incantare da queste “notiziole” che si potrebbe anche evitare di dare.
E non si tratta di pignoleria!
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