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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 13/03/2007 @ 12:19:20, in C) Commenti e varie, cliccato 797 volte)
RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE
 
“Questa è una priorità!”, ha sentenziato il Presidente del Consiglio Prodi e l’ha inserita nei 12 punti per ottenere la fiducia. Io sono d’accordo e sono certo che tutti abbiano capito perché. Infatti se n’è parlato e se ne parla tantissimo in questi giorni.
Le difficoltà per rifare una legge elettorale decente sono troppe. La ragione principale – non la sola naturalmente – sta nel fatto che in generale è difficile trovare un accordo fra le varie parti politiche presenti in Parlamento, non solo nelle contrapposizioni fra le due alleanze pluripartitiche, ma anche all’interno di ciascun “polo”.
Io vedo soprattutto molte difficoltà nel far accettare ai piccoli partiti una qualsiasi soluzione che li elimini dalla corsa perché nei sistemi elettorali adottati da tempo in Germania, Francia e Spagna – per non parlare della Gran Bretagna - sistemi che funzionano bene da anni, i piccoli partiti non accedono al Parlamento, ciò che rende più facile la governabilità.
C’è anche un’altra cosa che in Italia non esiste nella cultura dei nostri politici: la possibilità e la capacità di governare di un governo in minoranza, situazione che in Danimarca e Svezia, ed anche in altri paesi, è prassi comune (più del 70% dei loro governi hanno governato così) perché l’opposizione non è sempre contraria per principio preso.
Comunque ho paura che in Italia si arriverà ad un compromesso, come spesso succede, cioè che, per esempio, se si arriva ad un accordo della maggioranza allargato ad alcune frange dell’opposizione sul metodo tedesco, lo sbarramento scenda dal 5 ad una cifra inferiore.
Sia il metodo francese che quello tedesco hanno i loro pregi ed i loro difetti ma favoriscono i grandi partiti per la loro alternanza al governo, ma penso che in Italia dovremmo copiare le cose che funzionano invece di rielaborare sempre le cose rendendole complicate e strane – e a volte strampalate - come sono state spesso le creazioni delle nostre leggi elettorali e non. Mi auguro che a nessuno venga in mente di modificare “leggermente” l’attuale proporzionale, nella maniera in cui suggerisce il nostro ineffabile Berlusconi che dimostra ancora una volta la sua leggerezza – per evitare di essere più cattivi nel definirlo - quando apre bocca. Un esperto ha dimostrato che se la legge fosse stata come lui propone di modificarla, il risultato delle ultime elezioni ci avrebbe dato un Senato a maggioranza di centro-destra ed una Camera una maggioranza di centro-sinistra. Bella governabilità!
C’è una cosa infine, anzi due, che non capisco, sicuramente perché non sono un costituzionalista ed un esperto di legislazione. Però, visto che dobbiamo cambiare la legge elettorale, perché non si potrebbe con la stessa legge:
-         Dimezzare il numero dei Deputati e dei Senatori?
-         Diminuire sostanzialmente i privilegi di questi nostri rappresentanti che guadagnano molto di più di tutti i loro colleghi europei?
Sono certo che tutti gli italiani sarebbero soddisfatti e ridarebbero un po’ più di fiducia ai politici!…però questi non lo capiscono perché sono troppo distanti dagli italiani.
Sono un ingenuo utopista? forse si, ma l’attuale legge prevede che fra qualche anno, mi sembra nel 2013, sia prevista una diminuzione del numero, e l’Onorevole Cesare Salvi ed un collega di cui non ricordo il nome, hanno presentato un disegno di legge in questo senso.
Staremo a vedere!
 
PS – Ho scritto queste parole la sera dell’8 marzo. Ho l’abitudine di non pubblicare subito i miei articoletti sul sito perché voglio rileggerli il giorno dopo in quanto hanno sempre bisogno di qualche limatura. Il giorno dopo ho visto in TV la solita trasmissione di Corrado Augias, “Le Storie - Diario italiano” con un importante ospite, il politologo Giovanni Sartori. Hanno parlato proprio della riforma della legge elettorale e con piacere ho notato che le mie idee collimano con quelle di questo importante personaggio che scrive sul Corriere della Sera. Fra l’altro ha coniato una frase significativa che in due parole esprime la situazione e che dice più o meno così: Un nuova legge elettorale che non piace ai piccoli partiti (che lui chiama i nanetti) è una buona legge per la governabilità dell’Italia.
 
Di Gennaro Aprea (del 27/04/2007 @ 17:04:24, in C) Commenti e varie, cliccato 904 volte)
LE SPALLATE
 
E’ un po’ di tempo che non sento più parlare di spallate. Chi se ne riempiva la bocca con ferma convinzione di riuscire a darle per ottenere il risultato voluto di far cadere il Governo Prodi era l’opposizione. Hanno iniziato l’anno scorso dicendo in generale che la maggioranza si stava sfaldando, che sarebbe caduta sul riordinamento delle pensioni, sulla legge finanziaria, poi il 1° dicembre 2006 c’è stato il milione (?) di persone che hanno applaudito il Cavalier Berlusconi a S.Giovanni in Laterano a Roma… e ormai era quasi fatta!. Poi i tentativi di spallate si sono ripetuti mentre gli “spallatori” si allenavano in gran segreto contro porte blindate per i prossimi incontri.
Siamo passati ai DICO e al conseguente sfaldamento della maggioranza fra teocon e laici, alla base di Vicenza, alla politica estera, al rifinanziamento delle missioni di pace dei nostri militari inviati in varie parti del globo, soprattutto in Afganistan con conseguente crisi governativa, al portavoce Sircana, al rapimento di Mastrogiacomo e successivi avvenimenti, ecc. Forse me ne scordo qualcun altro, ma avete capito bene di cosa parlo.
Ormai è quasi un anno che il governo Prodi resiste alle spallatone, spallatuccie e spallatine, ma ho l’impressione che tutti quelli che si sono allenati a darle, abbiano preso talmente tanti colpi sulla spalla che gli sia sopravvenuta una peri-artrite con pericolo di cronicità e che stia usando pomate, raggi infrarossi e tutto ciò che fa’ bene per la cura di questi dolori.
E’ un peccato perché vi saranno ancora tante nuove occasioni a breve, medio e più lungo termine grazie alle quali le spallate potrebbero far cadere il Governo, cosicché il nostro amatissimo Cavaliere possa re-insiedarsi a Palazzo Chigi senza ulteriori rinvii e senza aspettare fino ai suoi 75 anni.
Vi do qualche esempio: il mal di pancia di Rosy Bindi mentre si discutono in Parlamento le nuove leggi sulle coppie di fatto, la/e destinazione/i finale/i del “tesoretto” (che non si saprà mai a quanto ammonta) il mal di testa di Bersani per la successiva “lenzuolata”, la foto del Professor Prodi mentre bacia di nascosto la mano di Ségolène Royal che piange per la sconfitta dopo il ballottaggio e la successiva lettera al “Giornale” della Signora Prodi, il litigio fra Pecoraro Stanio e Padoa Schioppa per l’uso della poca acqua rimasta…..
Perché non mi date qualche suggerimento per altre occasioni di spallate?
 
Di Gennaro Aprea (del 16/05/2007 @ 15:21:00, in C) Commenti e varie, cliccato 1120 volte)
UN SALUTO DAL SUDAN
 
 Fonte: Archivio RAI
 
Ciò che leggerete è stato scritto da un socio de “Il Fontanile”, l’Associazione Culturale di Rodano che fa' cose egregie e che ha iniziato ad attirare partecipanti di altri Comuni, compreso Milano, alle iniziative di tutti i generi le quali hanno un crescente successo.
L’autore e un Architetto, Luca Bonifacio, che ho conosciuto quando era un bambino nel lontano 1969. Recentemente è andato in Sudan per lavoro ed ha mandato un saluto a tutti i soci del Fontanile. In questo breve articolo Luca fa’ una breve e bellissima riflessione sulle impressioni che ha avuto appena arrivato nel sud del paese. Io, che ho vissuto e lavorato in Africa in gioventù, l’ho apprezzata particolarmente.
Luca mi ha dato il permesso di inserirla in questo sito.
 
 
“Bor, 10 maggio 2007
 
Sudan. Un nome che lascia la bocca secca.
Secco è il paese come è secco lo sguardo di chi ci cammina sperduto. Il Sudan è un malato appena uscito dal coma e, come un corpo uscito dal coma, si trascina appena, lancia sguardi confusi qua e là e cerca di reinventarsi un’identità che un enorme trauma ha disfatto, cancellato.
Siamo a Bor, una città che il Nilo ha lasciato lungo il suo corso quasi per caso.
Una strada principale, un mercato, una chiesa, una moschea….
Questo grumo di umanità disorientata sta lì con il suo trauma ancora vivo negli occhi.
I bambini vanno da un posto indefinito ad un altro altrettanto indefinito. A volte sono accompagnati da adulti alti come giganti.
A volte i giganti vanno in giro da soli. Anche loro non sanno dove vanno, ma vanno.
Sopra di loro il cielo è gigante pure lui e l’aria carica di fotoni equatoriali è ricamata dal rito micidiale di falchi immensi. Se sulla strada principale si gira a un certo punto a destra, prima del mercato e dopo i tendoni delle Nazioni Unite si arriva in un posto dove, si dice, dei bianchi con magliette tutte uguali curano chi arriva.
Quei bianchi siamo noi.
All’inizio, mi dicevano i colleghi, la gente diffidava. Diceva che là dentro si faceva magia. E un po’ avevano ragione. Del resto solo con la magia si riesce a mandare avanti un ospedale in un posto come questo.
Sono qui da due settimane e sembra che il tempo si sia dimenticato delle sue regole. Il mio mandato è semplice: devo curare il posto che cura.
L’ospedale di Bor è un complesso edificato che, come chi ospita tutti i giorni, appare come un paziente terminale che si tiene su per grazie concessa. Crepe putride, colonne zoppicanti e muri sventrati.
E’ vero, è stato un terremoto a lasciarlo così, ma non potrebbe essere diversamente questo posto. Nel suo tormento sembra che partecipi al calvario quotidiano che questa umanità marziana recita tutti i giorni tra queste mura.
Come in un dramma omerico, sagome con tuniche stracciate si agitano nella penombra.
Sono accasciati, sono appoggiati, sono coperti di mosche, sono intubati. Sono fasciati. Sono sfasciati e portano qualcun altro che si è sfasciato più di loro.
All’improvviso in un angolo inaspettato appare un coro di donne. E’ il mistero di questa genesi umana che ripete la sua profezia assoluta. Un’altra anima è saltata. L’Africa muore.
Questo ce lo diciamo tutti i giorni. Ma qui questo concetto si fa’ reale e tangibile perché chi muore ha una faccia. Una faccia che ieri c’era e oggi non c’è più.
Allora le donne piangono e con loro piangono i muri, le pozze d’acqua, i manghi, le lamiere e i bambini che non sanno perché piangono, ma piangono.
A questo spettacolo assistiamo anche noi. Si, ci siamo. Siamo in molti quindi possiamo ricordare gli uni agli altri che ci siamo veramente. In un modo o nell’altro.
Siamo astronauti alla scoperta di un pianeta perduto, circensi dell’ultima ora che montano giostre, costosissime, giocolieri e trapezisti che saltano nel vuoto cercando di afferrare corpi avvolti in acrobazie impossibili. O almeno così sembra. Ma la quotidianità, come succede spesso nella vita, non appare sempre così lirica e si finisce solo per incazzarsi con la poca reattività locale, il cibo, le mosche e il caldo. Ma questa è la vita. No?
Che vita! una vita africana.
Africano è il tempo. Africana è la rassegnazione.
Africano è il mal di pancia che ti morde.
Africano è il limite a cui tutto converge all’improvviso.
Un insetto diventa una tormenta di cavallette, una febbre diventa un’epidemia incontrollabile, una nube un nubifragio che si porta via tutto, un malinteso diventa una guerra che lacera una regione grande come mezza Europa, per vent’anni.
Questa è l’Africa. Il tutto e il nulla insieme.”
 
 
 

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