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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 27/05/2010 @ 15:35:22, in C) Commenti e varie, cliccato 862 volte)
QUESTA VOLTA NON È UN SOGNO
 
È un po’ di tempo che non scrivevo di argomenti politici (ne abbiamo letto e sentito tanto e troppo in quest’ultimo periodo) e soprattutto di alcuni personaggi da me “sfruculiati” in passato.
Questa volta non posso fare a meno di aggiungere qualche commento nei confronti del nostro Ministro dell’Economia, che è stato da me sfottuto più volte.
Vi devo anche la spiegazione del titolo perché non tutti i lettori conoscono i precedenti. In due articoli “Ho fatto un sogno” del 6 ottobre 2006 e “Ho fatto un altro sogno” dell’11 dicembre 2007 ho parlato satiricamente di Giulio Tremonti; quindi questa è la continuazione “seria” dei primi due. Se volete leggerli (credo che siano abbastanza divertenti), la ricerca è facile e rapida. Basta inserire la “parola chiave” Tremonti sulla destra dei vari articoli ed avrete tutti i testi nei quali è menzionato il suo nome.
Naturalmente oggi mi riferisco alle notizie presenti sul 100% dei giornali, giornali radio e telegiornali: LA MANOVRA DI 24 MILIARDI in due anni (se bastano).
Nei miei articoli passati accennavo al fatto che, pur non essendo un esperto di economia, il Ministro dell’Economia faceva ugualmente questo mestiere….ma (nel sogno) prometteva di studiare durante gli anni in cui ricopriva questa carica per poter poi preparare strategie di politica economica e finanziaria coerenti.
Questa manovra è stata salutata da molti, anche dalla Commissione Europea, come coerente e positiva. Non da tutti perché è palesemente iniqua per le classi sociali più colpite. Tanto è vero che anche la Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha criticato la manovra dal punto di vista dell’impatto sociale ed è stata lodata persino dai sindacati.
Ma veniamo al punto: Giulio Tremonti ha imparato la lezione? Se ripenso alle numerose immagini dei telegiornali che mostravano il Ministro a colloquio con i suoi colleghi di altri importanti paesi, l’ho sempre visto molto attento ad ascoltarli, da buon ed assiduo alunno. Il risultato è questa manovra…...Ma è tutta farina del suo sacco, oppure ha solo eseguito gli ordini della Commissione che gli ha indicato la strada, lasciandolo sbizzarrire su come applicare le direttive superiori? Io dico che qualche passo avanti culturale l’ha fatto, perciò onore al merito dell’apprendimento; però i tagli fanno molto male alle tasche delle persone che hanno sempre pagato e invece sono solo degli bonari schiaffetti a quelli che hanno redditi alti.
La tracciabilità dei pagamenti oltre i 5000 €? E perché no su valori inferiori (vedi Visco), come se i vari evasori di pagamenti in nero (professionisti, idraulici, elettricisti, artigiani vari, negozianti, ecc.) facessero solo servizi di quell’ammontare o superiori?
Case non accatastate? Mah!, cosa c’è sotto ? un altro condono?
Via le Province piccole? E perché non tutte, previa legge costituzionale – che al momento sembra non esista – la quale ne preveda la modalità?
E perché non proporre un Disegno di Legge, da discutere con priorità, che dimezzi i nostri rappresentanti nelle due Camere del Parlamento della Repubblica? E non solo di diminuire di un importo ridicolo lo stipendio !
ecc. ecc.
Però devo dare atto a Giulio Tremonti di una cosa positiva che finora non si era vista da parte sua in maniera così incisiva, come questa volta (forse ha preso esempio da Gianfranco Fini), tanto meno da parte del gruppo di leccapiedi del presidentone: è riuscito a ridicolizzare Silvio Berlusconi e le sue battute sul “tutto va ben, madama la marchesa”, ove la marchesa sono gli italiani.
A proposito, stavo per dimenticare la figura di merda che ha fatto un Berlusconi, particolarmente sorridente per la “trovata”, di fronte all’Assemblea della Confindustria quando ha proposto che la Marcegaglia lo affiancasse come Ministro dell’Industria e dello Sviluppo, ed ha chiesto alle centinaia di industriali presenti: : “Chi è d’accordo alzi la mano”….silenzio di tomba e una sola mano alzata!
 
PS - devo fare una rettifica all'ultima riga: avevo sentito in tempo reale Berlusconi che diceva, "una sola mano alzata" (e poi ci ha messo una "pezza"); sui giornali di oggi c'è la precisazione che le mani erano tre, ma due si sono subito riabbassate, da cui la frase del presidentone.
.
 
 
Di Gennaro Aprea (del 26/05/2010 @ 16:21:02, in C) Commenti e varie, cliccato 1138 volte)
NOSTALGIA DI NAPOLI 
Questo articolo è dedicato ai napoletani che mi leggono ogni tanto, napoletani di tutte le età: quelli della mia generazione lo capiscono al volo; forse per quelli più giovani il testo è meno interessante anche se Roberto Saviano ha dato una scossa anche alle generazioni dei giovanissimi.
Questo articolo non è stato scritto da me, ma da un intellettuale che è più o meno mio coetaneo, il quale vive lontano da Napoli da molti anni ed è fratello di un altro signore, anche lui “extra-padaniatario” a Milano con permesso di soggiorno, che ho conosciuto un paio di anni fa e con il quale si è stabilita un’amicizia immediata e profonda. Un giorno ha incontrato una mia amica di vecchia data e lei ha pensato che noi due ci conoscessimo da una vita.
Umberto Vitello mi ha inviato alcuni articoli dandomi il permesso di pubblicarli sul sito e lo ringrazio pubblicamente. Grazie Umberto !                                                      
  
Pubblicato su “Lo Specchio della Città”, dicembre 2006  
 
Umberto Vitiello “Vadim” 
   Napule ca se nne va
 
La Canzone e la Napoli di ieri e di oggi
 
Napoli è una perenne canzone d’amore che si intreccia con gli eventi, i disagi, le speranze e le aspirazioni di ogni epoca.
Canzone di Napoli e storia di Napoli fanno tutt’uno.
E mi fermo qua, altrimenti potreste pensare ch’io voglia farmi passare per uno storico della canzone napoletana, mentre non sono che un suo modesto cultore e per ragioni, diciamo, contingenti.
Vivo lontano da Napoli ormai da decenni e le registrazioni delle sue canzoni più belle non solo mi tengono compagnia, ma mi permettono pure di non perdere del tutto i contatti con le mie origini partenopee.
Come per chiunque si allontani dalla propria terra, in questa mia passione musicale c’è tanta nostalgia.
Chi lo nega?
Non è forse una cosa normale perfino per chi non si è mai sognato di andarsene e di tanto in tanto ama risentire il proprio passato?
Musica della mia terra e canto nel dialetto della mia infanzia, meglio di tante vecchie fotografie, mi riportano atmosfere, voci, episodi lontani, persone e luoghi a me cari.
Non vi nascondo che quando sento “Munastero ‘e Santa Chiara” mi attraversa un brivido che mi riporta le ansie e le poche indimenticabili gioie di quand’ero un ragazzino.
Penso alla desolazione e alla miseria di quei tempi, ma anche alle persone amate ormai scomparse o perse di vista: alcuni cari familiari, l’amico del cuore, il primo amore...
Come faccio a non commuovermi?
Ripetendo talvolta come un automa le parole della canzone, una riflessione sulla mia città è inevitabile. Rivivo nel presente le paure di allora e la tristezza mi assale.
 
Munastero ‘e Santa Chiara
tengo ‘o core scuro scuro.
Ma pecché, pecché ogni sera
penso a Napule comm’era
penso a Napule comm’è ?
 
Napoli, la città più martoriata d’Italia, bombardata infinite volte dal cielo e dal mare, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando si cantava questa canzone, era in ginocchio e distrutta non solo fisicamente.
 
No, nun è ‘o vero !                                         No, non è vero!
No, nun ce credo !                                         No, non ci credo!     
E moro pe’ sta smania                                   E muoio per la smania che ho  
            ‘e turnà a Napule;                                     di tornare a Napoli;     
ma c’aggia fa ?                                              ma che devo fare?                   
Me fa paura ‘e ‘nce turnà !                              Mi fa paura di tornarci!
 
Come tornare senza temere di non trovare più la Napoli che per secoli e millenni è stata amata per il suo sorriso?
Il sorriso aperto e sincero dei suoi abitanti più umili, dei napoletani “veraci” che, eredi dell’antica Grecia, hanno sempre saputo superare con filosofia i momenti terribili della loro storia. Nonostante tutto, hanno sempre saputo guardare al proprio futuro con speranza e ottimismo.
Il sorriso radioso di chi, poeta e sognatore, sa che la vita è bella anche quando tutto sembra irrimediabilmente perduto. Anche quando la catastrofe si annuncia inevitabile.
E dal ricordo di quei tempi così tristi la canzone, la stessa canzone mi induce a non chiudere gli occhi sulla sciagurata Napoli marchiata dalla droga. La Napoli alla mercé della nuova camorra, ben più violenta e spietata di quella dei tempi passati
Allora si riuscì bene o male a confinarla in limiti sopportabili. La chiamavano la “Bella Società Riformata” e il suo Prence o Capintesta era Ciccio Cappuccio. Un nome che sembra inventato, più per far ridere che incutere timore.
Stiamo parlando della Belle Epoque.
Un periodo spensierato e felice, almeno apparentemente, anche per Napoli. Un periodo che si chiuse anche per Napoli con la Prima Guerra Mondiale, quando si cominciò a parlare seriamente e per la prima volta della scomparsa definitiva della bella, cara Napoli. Che tutti e tutto sembravano ostinarsi a rendere fin troppo simile a tante città, fredde e uguali, di questa terra.
Come ci ricorda una canzone di quel dopoguerra grigio e piatto: “Napule ca se ne va” (Napoli che se ne va).
Una canzone che è tutta una storia, come certo saprete anche voi.
Vi si narra di alcuni napoletani che fanno una scampagnata a Marechiaro: due coppie di innamorati, due comari con i rispettivi mariti e un vecchio compare che, ai suoi tempi, è stato un capo dell’”onorata società”.
Che tavolata! Prima devotamente il segno della croce, poi il compare che è istruito fa un brindisi e, mentre un’orchestra suona vecchie canzoni, si mangia allegramente.
Un po’ frastornati per il vino bevuto, tornano tutti in barca. Il compare ricorda i tempi belli di quando era un “guappo” (un bullo). Le ragazze inzuppano i taralli nell’acqua di mare, che pare d’argento.
 
E ‘a luna guarda e dice
si fosse ancora ‘o vero !
Chist’è ‘o popolo ‘e na vota,
gente semplice e felice,
chist’è Napule sincero
ca pur’isso se ne va !
 
E questa è la morale, che si ripete tre volte. Tre momenti in cui la nostalgia per la Napoli d’un tempo riaffiora acutissima, struggente.
Già allora si piangeva per una Napoli che scompariva.
Ma questa straordinaria città riuscì a riprendersi, perfino dopo quello che dovette patire durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Fino a quando non sono apparse la droga, la nuova delinquenza organizzata, la microcriminalità diffusa: belve feroci e spietate che hanno reso Napoli triste e malinconica come non lo è stata nemmeno sotto i bombardamenti.
 
Napule è mille culure                                     Napoli è mille colori
Napule è mille paure                                     Napoli è mille paure
........
Napule è nu sole amaro                                 Napoli è un sole amaro
........
Napule è na carta sporca                               Napoli è una carta sporca
e nisciuno se ne ‘mporta                                e nessuno se ne importa
e ognuno aspetta ‘a sciorta.                           e ognuno aspetta la buona sorte.
 
Di Napoli oggi sembra proprio che nessuno dei suoi abitanti se ne importi e ognuno aspetti solo un miracolo.
L’unica speranza è riposta nella buona sorte. Nella fortuna che prima o poi dovrebbe decidersi a baciare di nuovo, magari per caso, la mia dolce Napoli. La bella, cara Napoli cantata non come città di odio ma d’amore.
 
Chist’è ‘o paese do sole,
chist’è ‘o paese do mare,
chist’è ‘o paese addò tutt’ ‘e parole
so’ doce o so’ amare
so’ sempe parole d’ammore !
 
Napoli è il paese del sole, del mare, il paese dove tutte le parole, dolci o amare, sono sempre parole d’amore!
Versi da non dimenticare. Che devono e saranno sempre il suo inno patriottico.
Mentre un affabulatore partenopeo della diaspora grida con rabbia ed amore l’augurio e l’invito del Poeta:
 
Puozze n’ata vota risuscità!                            Possa ancora una volta resuscitare!
Scètete, scètete, Napule, Nà!                         Svegliati, svegliati, Napoli, Nà!
 
 
 
Di Gennaro Aprea (del 20/05/2010 @ 18:34:16, in C) Commenti e varie, cliccato 794 volte)
LA FINE DELLA TERRA
 
La Pointe du Raz (c'è un faro prima della punta e un altro più al largo rispetto a quello che si vede)
 
 
Le Chemin des Douaniers - Perros Guirec
 
Conosco abbastanza bene la Francia fin dal mio primo viaggio in Costa Azzurra ai tempi dell’università, ma mi sono reso conto che ancora ci sono tante cose da vedere nonostante vi abbia vissuto per mesi quando lavoravo ed abbia dei legami affettivi che da anni mi portano in questo paese.
Così il 1° maggio siamo partiti per un “Tour de France” (non in bicicletta) di 3660 km, in parte turistico sull’Atlantico e in parte nella regione dell’”Ile de France” per incontrare vecchi amici parigini e mia sorella che sposò un francese ed ha generato 4 nipoti i quali a loro volta ne hanno generati 8. Questa è la ragione del mio silenzio dall’ultimo articolo del 26 aprile.
Prima tappa La Rochelle, magnifica città dei tempi di Luigi XIV, piena di storia, con la bellissima l’”lle de Ré” sul mare di fronte, luogo di vacanza per i francesi amanti dell’oceano, raggiungibile con un ponte di 3 Km.
Ma perché “la fine della terra”? il fatto è che per la prima volta siamo andati in Bretagna che è una regione bellissima, in particolare nel Dipartimento di Finistère, nome che deriva dal latino “finis terrae”, cioè la fine del mondo. Al tempo dei romani che avevano invaso la Gallia, la grande penisola della Bretagna era davvero la fine del mondo con i suoi bracci protesi nell’ignoto dell’infinito oceano Atlantico, al di là del quale non c’era che acqua, spesso in tempesta e tormentata da fortissimi venti.
E la Bretagna è veramente “’a fine do munno”, come si dice in napoletano per magnificare qualcosa di eccezionale.
Anche noi li abbiamo trovati i venti, da più di 100 km all’ora alla Pointe de Raz, al limite sud della baia di Douarnenez, graziosa città antica dove risiedono una coppia di amici italiani che hanno deciso di stabilirvisi dopo la pensione in un piccolo appartamento con balcone sul vecchio porto[1]e che dividono il loro tempo fra due cani, un gatto e la pesca con la canna o con la loro barca a vela in alto mare quando il meteo lo permette.
Alla punta di Raz dovevamo tenerci forte per non essere letteralmente spostati dal vento. E ne è valsa la pena fare un chilometro a piedi nel vento freddo di primavera per vedere i tre fari ed il mare lontano in bassa marea che lascia rocce e sabbia e alghe all’asciutto, pur non essendo in quei giorni la marea così importante come negli equinozi quando la differenza supera i 10-12 metri.
A 10 km da Douarnenez c’è un piccolo villaggio che si chiama Locronan, i cui edifici sono tutti del primo medioevo, dall’anno mille al 1300, perfettamente in ordine, con una magnifica chiesa  gotica e un cimitero che fanno restare a bocca aperta. Ma la cosa più interessante che abbiamo visto è la qualità della vita in questo villaggio. C’è molto turismo e molti negozi che vendono artigianato di qualsiasi genere; la differenza con i nostri siti turistici dove una grande percentuale degli oggetti nelle vetrine e all’interno è ormai solo di origine cinese, è che i titolari dei negozi sono tutti artisti-artigiani francesi che vendono le cose bellissime e piene di inventiva e di fascino[2]   che fabbricano a mano sul posto: spesso sembra di entrare in gallerie d’arte.…sembrava di essere tornati ai vecchi tempi  fino alla prima metà del secolo scorso.
Poi abbiamo fatto una puntata anche nel nord della Bretagna sulla Manica, in una cittadina anch’essa molto turistica, Perros-Guirec dove c’è una passeggiata da fare a piedi (circa 5 km) lungo una costa rocciosa di scogli e massi lisciati e molati dal vento e dal mare in 300 milioni di anni, tutta di granito rosa: incredibile!. Immaginate di vedere i nostri ciottoli di fiume ingranditi di mille volte e messi uno sull’altro a formare quasi degli enormi muri a secco di mattoni di granito, alcune volte in bilico contro le leggi della statica, in costruzioni di forma assurda e impensabile.
E davanti ad una delle grandi spiagge della città l’”arcipelago delle sette isole” disabitate (in passato nella più grande vi era il guardiano del faro con famiglia e alcuni militari). Oltre alla bellezza dei luoghi e della passeggiata in barca, quel gruppo di isole è oggi il secondo sito-rifugio a livello mondiale protetto per una dozzina di specie di uccelli marini, vari tipi di gabbiani uno diverso dall’altro, i cormorani, e i rari “maquereaux” (lo stesso nome del pesce sgombro) che sono dei piccoli uccelli coloratissimi somiglianti ai pappagalli, che si tuffano per pescare e restano minuti interi sott’acqua; e poi ci sono anche una cinquantina di foche.
Su una collina di una di queste isole hanno nidificato decine di migliaia di una specie di gabbiani che coprono l’intero mammellone e da lontano sembra di vedere l’isola coperta di neve.
Tutte queste cose ti tolgono il respiro e ti fanno capire quanto dobbiamo sforzarci di amare il nostro piccolo mondo, e decidere di comportarci in maniera che non arrivi alla fine della terra, della vita, distrutta da noi umani.
Se potete, fate un programma di viaggio in Bretagna in una delle vostre future vacanze: Internet vi aiuterà. 


[1] C’è il nuovo grande porto in un lungo estuario del fiume dove sono ancorate migliaia di barche da diporto, la maggior parte a vela, oltre alle scialuppe dei pescatori e ai pescherecci di alto mare
[2] Esempio: un poeta scrive dei versi e delle frasi deliziose su delle tavolette che inserisce in quadri piacevolissimi
 

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